L’escalation militare è imminente, e la risposta iraniana all’assassinio del capo politico di Hamas, Ismail Haniyeh, avvenuto a Teheran, rischia di essere molto di più che un semplice lancio massiccio di droni come avvenuto lo scorso 13 aprile. Dopo l’ennesimo scontro telefonico tra il premier israeliano Benjamin Netanyahu e il presidente americano Joe Biden sulla necessità di una tregua a Gaza, il commander in chief ha avuto una riunione con la sua squadra per la sicurezza nazionale nella situation room per discutere degli sviluppi in Medio Oriente, ha fatto sapere la Casa Bianca, con gli Stati Uniti che ritengono imminente un attacco iraniano a Israele.

Il quadro si ripete: Netanyahu continua ad attaccare a Gaza e prosegue con le esecuzioni mirate con il pericolo di scatenare l’escalation regionale, e Washington non riesce a frenarlo, salvo poi essere chiamata a difenderlo dalle reazioni dei suoi nemici. Secondo quanto riferisce Axios, diverse fonti hanno affermato che il segretario di Stato americano Antony Blinken ha riferito ai ministri degli Esteri dei paesi del G7, in una riunione di domenica 4 agosto, che l’attacco dell’Iran a Israele potrebbe avvenire «nelle prossime 24-48 ore». Tra le ipotesi c’è un massiccio attacco aereo coordinato con gli alleati dell’asse iraniano, Hezbollah in Libano e gli Houthi in Yemen.

Diversi media israeliani riportano anche l’ipotesi che sia Israele stessa ad attaccare preventivamente Teheran in una mossa tesa a ridurre gli effetti della ritorsione. Il segretario alla Difesa degli Stati Uniti, Lloyd Austin, ha parlato con il ministro della Difesa israeliano, Yoav Gallant, per preparare la difesa militare e rassicurare l’alleato. Nella serata del 4 agosto si è tenuta infatti una riunione dei vertici di sicurezza israeliani con la presenza del primo ministro Benjamin Netanyahu, mentre è attesa a Tel Aviv la visita del generale Michael Erik Kurilla del comando Centcom americano.

Shoigu a Teheran

Che questa volta la situazione sia molto più complessa lo rivela il fatto che il segretario del Consiglio di Sicurezza nazionale russo Serghei Shoigu, ex ministro della Difesa, è arrivato a Teheran per colloqui con autorità iraniane, tra le quali il presidente Masud Pezeshkian e il capo di stato maggiore delle forze armate, Mohammad Bagheri. Teheran punta anche agli aiuti forniti da Mosca, con i micidiali missili Iskander (quelli usati in Ucraina) e sistemi avanzati di guerra elettronica, che possono danneggiare o interrompere i sistemi militari a una distanza di 5.000 chilometri. Israele invece può contare sul collaudato scudo dell’Iron Dome, già chiamato agli straordinari negli ultimi 10 mesi di guerra a Gaza. Oltre alla protezione fornita dagli alleati, soprattutto gli Usa, grazie alle loro basi in Medio Oriente.

Lo scorso 13 aprile, nell’attacco diretto contro Israele, si calcola che l’Iran abbia lanciato complessivamente centinaia di proiettili – dicono fonti della difesa israeliana – di cui almeno 100-150 droni e 40-60 missili. Incrociando varie fonti, il New York Times stima 185 droni kamikaze, 110 missili balistici (superficie-superficie) ipersonici modello Kheibar e 36 missili da crociera tipo Paveh 351: le armi più sofisticate mai affrontate dalle difese israeliane.

I Pasdaran pronti all’azione

Il capo del Corpo delle Guardie rivoluzionarie islamiche iraniane (Irgc), Hossein Salami, ha detto che Israele si sta «scavando la fossa». «Quando riceveranno un colpo, si accorgeranno che stanno commettendo degli errori. Stanno facendo errori in continuazione», ha affermato Salami. Giovedì scorso, secondo la stampa kuwaitiana, poche ore dopo l’uccisione d’Ismail Haniyeh, da un aereo privato sarebbero scesi all’aeroporto di Payam a 30 chilometri da Teheran alcuni funzionari americani e dell’Oman. Il gruppo si è diretto in un hangar, dove ha incontrato una delegazione iraniana. Un incontro segreto per far giungere all’Iran un messaggio del consigliere per la Sicurezza della Casa Bianca, Jake Sullivan: gli Usa non sapevano niente del piano per eliminare il leader di Hamas e il presidente Joe Biden è furioso con il premier israeliano. Washington ha raccomandato gli ayatollah affinché non cadano nella trappola d’un attacco eccessivo. Teheran però ha definito la notizia dell’incontro priva di fondamento.

Fuga dal Libano

Possibilmente in aereo, ma, se necessario, anche in auto, pullman o persino a bordo di yacht. Con tariffe che variano da poche decine a molte centinaia di dollari. Dal Libano è in corso un vero esodo di stranieri che, nel timore di una nuova ondata di “furore” israeliano, stanno cercando di partire al più presto possibile. Con ogni mezzo a disposizione. Intanto si allunga la lista di paesi che chiedono ai loro cittadini di lasciare il Libano il prima possibile. Stati Uniti, Francia, Regno Unito, Arabia Saudita, Svezia, Italia e ora anche Turchia.

Il 4 agosto il ministro degli Esteri italiano Antonio Tajani ha lanciato un appello ai circa tremila connazionali presenti in Libano secondo la Farnesina. Ma neanche lasciare il paese è così semplice. Molte compagnie aeree, tra cui le tedesche Lufthansa e Air France, hanno sospeso i loro voli per Beirut creando disservizi ai passeggeri che dovevano rientrare nei loro rispettivi paesi. Wizz air ha annunciato che interromperà i voli per Tel Aviv e Giordania. L’Italia sta pensando e organizzando forme alternative di evacuazione in caso di conflitto esteso e prolungato.

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