Continui raid e scambi di artiglieria tra Israele e Hezbollah fanno crescere il timore di un'escalation. L'esercito israeliano ha affermato di aver colpito strutture armate, spingendo Hezbollah a prendere di mira una base israeliana, mentre gli attacchi continuavano attraverso il confine libanese.

L’intransigenza del governo di Benjamin Netanyahu, alleato a doppia mandata ai partiti della destra religiosa messianica, unito allo shock del 7 ottobre condiziona pesantemente la vita politica israeliana. Tel Aviv non sembra temere nessuna conseguenza neppure che la rigidità israeliana nei negoziati possa mettere alla fine a rischio gli accordi di Camp David con il Cairo, la chiave di volta della pace nella regione. Netanyahu pensa a Teheran come la “testa del serpente” da schiacciare insieme alle sue centrali nucleari e ai suoi partner locali: Hamas, Hezbollah e Houthi.

In questo quadro l’accordo per il rilascio degli ostaggi e il cessate il fuoco è sull'orlo del fallimento e non esiste uno schema alternativo che possa essere presentato al suo posto. Lo hanno riferito a Politico due alti funzionari Usa e due israeliani. «Non sappiamo se Sinwar vuole l'accordo», ha detto una fonte, «se non lo vuole, c'è la possibilità che l'Iran attacchi e la situazione degeneri».

Mercoledì sera il presidente Usa Joe Biden ha chiamato Netanyahu per «discutere del cessate il fuoco e dell’accordo di rilascio degli ostaggi», rende noto la Casa Bianca, in una telefonata in cui era presente anche la vice Kamala Harris. Mentre gli Usa spingono per un vertice al Cairo venerdì, un funzionario israeliano ha affermato: «Non è affatto sicuro che ci sarà un vertice, se ci fosse, non ci sarebbe nulla di cui parlare finché Israele resterà sulla sua posizione». Posizione che chiede il controllo dei due corridoi nella Striscia e la possibilità di riprendere il conflitto in qualsiasi momento dopo il rilascio degli ostaggi. 

Drone israeliano a Sidone

In un attacco con un drone israeliano a Sidone è stato ucciso Khalil el Moqdah, fratello di Mounir el Moqdah, un comandante delle Brigate dei Martiri di Al Aqsa, il braccio armato di Fatah palestinese. Khalil è accusato con il fratello Munir al Maqdah, di collaborare con Hezbollah e il Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica dell'Iran per promuovere attacchi contro Israele. In una dichiarazione congiunta, l'Idf e lo Shin Bet affermano che i fratelli Makdah hanno lavorato dal Libano con le Guardie rivoluzionarie iraniane per trasferire denaro e armi alle cellule terroristiche in Cisgiordania.

Hezbollah ha invece lanciato ieri 50 razzi nella città di Katzrin. «Hezbollah spara indiscriminatamente contro i civili israeliani. Come ogni paese agiremo di conseguenza», ha dichiarato un portavoce dell'Idf. L’«assassinio» di un funzionario di Fatah in Libano è «un'ulteriore prova che Israele vuole incendiare la regione e gettarla in una guerra su vasta scala»: ha risposta a distanza un membro del Comitato centrale di Fatah a Ramallah. In effetti, negoziare colpendo i capi della controparte non pare essere una politica credibile.

L’ottimismo dell’amministrazione Biden è messo sempre più a dura prova. Il segretario di Stato americano Antony Blinken ha detto che, nonostante i commenti riportati dal primo ministro Netanyahu, Israele ha accettato il ritiro delle forze da Gaza, come previsto nella recente proposta dei mediatori.

«L’accordo è molto chiaro sul programma e sui luoghi dei ritiri da Gaza, e Israele lo ha accettato», ha detto Blinken prima di lasciare il Qatar. Blinken stava rispondendo ai resoconti dei media israeliani secondo cui Netanyahu avrebbe detto a un gruppo di famiglie di vittime e di ostaggi di aver comunicato a Blinken che Israele non lascerà il corridoio Filadelfia lungo il confine Egitto-Gaza e il corridoio Netzarim, che taglia in due Gaza. La domanda è se Blinken abbia l’autorizzazione a fare sufficienti pressioni affinché la dirigenza israeliana smetta di disfare di notte quello che ha accettato di giorno.

La risposta appare negativa: nei siti d’informazione della regione circola la voce – non confermata – che Biden sia pronto all’ennesima chiamata con Netanyahu per cercare di persuaderlo a cambiare linea.

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