Al funerale di Dorin Atias, 23enne uccisa al party Supernova, la comunità si stringe in preghiera. Decine di famiglie sono logorate dall’attesa. «Siamo rimasti soli», dice lo zio di un disperso
Al funerale di Dorin Atias una folla enorme di giovani si è stretta intorno alla sua famiglia in un abbraccio composto e silenzioso. Molti erano in uniforme militare, vari col mitra a tracolla. Quasi tutti gli uomini indossavano la kippah sul capo. Solo un uomo aveva anche una bandiera di Israele sulle spalle. La giovane ventitreenne è tra le vittime del festival musicale Supernova, dove i terroristi di Hamas hanno compiuto una mattanza. Tra le vittime dell’attacco di Hamas, 260 sono state fatte lì, dove qualche migliaio di giovani si era radunato sabato scorso per fare festa fino al giorno successivo. L’ultimo bilancio delle vittime da parte israeliana è di 1.300.
Dorin aveva 23 anni. Era alta e aveva i capelli neri. Viveva a Tel Aviv dove lavorava in un ristorante italiano a Nahalat Binyamin, una zona centrale della città pieno di bar e locali. Nel tempo libero studiava Pilates. La madre Tali l’ha cercata ininterrottamente da quando ha saputo dell’attacco. Ha saputo della morte di Dorin mercoledì. Ieri pomeriggio, al cimitero di Savyon, la famiglia e gli amici più cari di Dorin hanno recitato preghiere e le hanno dedicato i loro pensieri e ricordato momenti felici con lei.
Lo ha fatto anche Tali, terminando la sua preghiera con un urlo straziante, accompagnato dai singhiozzi e le lacrime di quasi tutti i presenti. Tali non è mai riuscita a parlarle dopo aver saputo che l’attacco di Hamas aveva coinvolto da subito la folla di giovani a festival nella località Kibbutz Re'im, nel deserto del Negev, non lontano dalla frontiera con Gaza. Dorin era lì con un’amica, la quale è riuscita a chiamare la sorella dicendole: «Ci hanno preso». Tali non sa ancora se Dorin fosse con l’amica in quel momento. «Non abbiamo praticamente dormito per giorni. Abbiamo rivoltato ogni pietra per cercarla» ha raccontato.
In attesa
La famiglia di Dorin è fra le non molte che hanno ricevuto notizie dei propri cari. Per molte altre l’ansia continua. Non sapere se i propri cari sono stati uccisi o rapiti li sta lentamente devastando. Da subito si è formata una rete di persone, parenti, amici e volontari che cerca di aiutare le persone a sapere qualcosa dei propri cari. O anche a cercare in qualche maniera di aiutarli a convivere con questo strazio che dura da quasi una settimana.
Nella maggior parte dei casi, in mancanza di una comunicazione ufficiale, l’apporto che sono stati in grado di dare è stato quello di trovare nel web foto o video che potessero dare qualche indicazione che la persona scomparsa fosse stata rapita e portata dentro Gaza.
L’esercito ha comunicato ieri in tarda mattinata che più di 95 famiglie di persone identificate come ostaggi sono state avvisate. Nelle ultime ore si sta parlando di circa 150 persone catturate e portate a Gaza, ma non esiste ancora una stima definitiva. Inizialmente gli ostaggi sembravano essere circa un centinaio, stando a quanto comunicato dalle autorità israeliane. Hamas sostiene che sono tenuti nascosti in tunnel e posti sicuri nella Striscia di Gaza.
«Siamo soli»
Nel frattempo, la rabbia e l’angoscia delle famiglie continua a salire. «Siamo rimasti soli. Lo stato è sparito», dice in italiano a Domani Ron Mandelbaum, zio di Nitzan Liebstein, sparito da quando una residenza per studenti di Kfar Aza è stata attaccata.
«I nipoti, cugini, fratelli sono andati dappertutto per cercare. Ospedali, case mortuarie “depositi di cadaveri”, liste ed elenchi che ci sono e non ci sono» dice Mandelbaum. Suo nipote Nitzan è stato ferito da un proiettile quando gli attacchi nel sud del paese sono cominciati. Mandelbaum era riuscito a mettersi in contatto col nipote e sua figlia, che è un medico, gli ha spiegato come fasciarsi la ferita.
La batteria del cellulare di Nitzan si è poi scaricata e i parenti hanno perso ogni contatto con lui. Hanno contattato le autorità per far mandare una squadra di evacuazione sul posto, che, dice Mandelbaum, è arrivata 28 ore dopo. Nitzan non è stato trovato nella sua stanza. Mercoledì, continua Mandelbaum, le autorità hanno comunicato di aver trovato molti cadaveri vicino alla residenza ma che ci vorrà del tempo per identificarli.
Il generale Gal Hirsch ha spiegato che Israele sta compiendo uno sforzo «di intelligence e operativo» per metter a fuoco la questione degli ostaggi israeliani a Gaza e dei dispersi.
«Le ricerche sul terreno proseguono ha affermato Hirsch» in un comunicato. «Il riconoscimento degli uccisi prosegue ed è un lavoro molto complesso. Molti feriti sono ancora negli ospedali e noi diamo la caccia ad ogni dettaglio che ci aiuti a localizzare tutti i dispersi».
«Lavoriamo 24 ore al giorno», ha assicurato Hirsch «per i dispersi, per gli ostaggi e per le loro famiglie».
La Farnesina ha fatto sapere che al momento i cittadini con passaporto italiano di cui in Israele non si hanno notizie sono tre: Nir Forti e i coniugi Lilakh e Eviatar Kipnis, quest’ultimi scomparsi dal Kibbutz Be’eri, diventato famoso per l’efferatezza con cui sono state trucidate numerose vittime, alcune delle quali decapitate, secondo a quanto è stato reso noto dall’esercito israeliano.
Tra le vittime accertate ci sono anche altri cittadini stranieri, a volte col doppio passaporto, tra cui britannici e statunitensi. Dopo le preghiere e i ricordi della famiglia, la folla dei partecipanti al funerale ha seguito in processione la salma, avvolta in un drappo blu. Non sembra esserci nessun accenno al nazionalismo o al patriottismo al funerale di Dorin.
I pochi che accettano di dire qualcosa a Domani, vogliono solo ricordare Dorin, la sua gioventù e voglia di vivere. È un momento privato e basta.
Il Rabbino recita l’ultima preghiera, poi Dorin viene sepolta. I familiari sono i primi a gettare la terra che coprirà Dorin per sempre. Gli amici iniziano poi a deporre fiori e corone. L’uomo con la bandiera di Israele, la appoggia in mezzo in mezzo ai fiori, ma dopo qualche minuto non si vede più, completamente coperta da rose e margherite.
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