Joe Biden e Donald Trump si sono incontrati mercoledì 13 alla Casa Bianca, onorando un’antica tradizione nel passaggio dei poteri che in tempi recenti era stata violata soltanto dallo stesso Trump: quattro anni fa non aveva esteso l’invito a un successore che giudicava illegittimo.

Il presidente in carica ha invece invitato il presidente eletto a Washington, dove è arrivato senza la moglie Melania, che invece ha declinato l’invito della first lady, Jill Biden. Uno strappo al protocollo non sorprendente per una persona che ha interpretato in modo eterodosso il suo ruolo quando era alla Casa Bianca. L’incontro è durato due ore. Anche il capo di gabinetto nominato da Trump, Susie Wiles, e il capo dello staff di Biden, Jeff Zients, hanno partecipato a una parte del faccia a faccia nello Studio Ovale.

«Apprezzo molto, Joe»

All’arrivo alla Casa Bianca, Biden ha accolto l’avversario offrendo il suo aiuto per un passaggio dei poteri senza intoppi. «Faremo tutto quello che possiamo per assicurare che tu abbia tutto quello che ti serve», ha detto Biden, offrendo una gelida stretta di mano e dando il benvenuto. Davanti ai cronisti Trump ha detto: «La politica è dura e molto spesso non è un bel mondo. Ma oggi è un bel giorno e vorrei una transizione liscia, da parte nostra sarà il più liscia possibile. Lo apprezzo molto, Joe».

La portavoce di Biden alla vigilia aveva sottolineato il tentativo di favorire «una pacifica transizione dei poteri», e il colloquio nello Studio Ovale è «parte del processo».

Biden e Trump non si erano lasciati benissimo, per usare un eufemismo. L’ultima volta che si sono incontrati era al dibattito che ha reso pubblicamente indifendibile la candidatura dell’infragilito presidente. Biden aveva chiamato ripetutamente l’avversario un «pregiudicato» e un «criminale», dicendo che aveva «la moralità di un gatto randagio». Il repubblicano aveva ribattuto dicendo che era il presidente era «pagato dalla Cina» e aveva affondato il colpo quando l’altro è incespicato con le parole: «Non ho capito quello che dice, ma credo che non lo abbia capito nemmeno lui», è stata la battuta che ha sepolto la corsa di Biden.

Prima di andare alla Casa Bianca, Trump ha incontrato i gruppi repubblicani al Congresso, tranquillizzando i deputati che avranno il controllo della Camera, anche se con un margine inferiore a quello atteso all’indomani delle elezioni. All’incontro ha preso parte anche l’onnipresente Elon Musk.

Ripercorrendo esultante le tappe della vittoria repubblicana, ha anche fatto un’allusione (non inedita) dal sapore eversivo sull’ipotesi di un suo terzo mandato, non previsto dalla Costituzione: «Sospetto che non correrò ancora, a meno che voi non diciate “è così bravo che dobbiamo trovare un modo”».

Colpo al presidente

I repubblicani al Senato hanno anche votato per eleggere il leader della maggioranza, e da lì è arrivata una brutta notizia per il presidente eletto. Ha prevalso John Thune, senatore del South Dakota e numero due del precedente leader Mitch McConnell, che non era però il preferito degli alleati più oltranzisti di Trump, titolo che spettava invece a Rick Scott. Thune è riuscito a capitalizzare le simpatie di cui gode anche fra i membri più moderati che in questa fase non hanno molto interesse a mettersi apertamente in contrasto con il presidente. Ma non necessariamente votano come questo vorrebbe. «Sono estremamente onorato per avere guadagnato il sostegno dei miei colleghi», ha detto Thune. «Questa squadra repubblicana è unita dietro all’agenda del presidente Trump, e il nostro lavoro comincia oggi».

Il ruolo di leader della maggioranza sarà cruciale per l’amministrazione Trump. Il presidente eletto ha già evocato sui social la possibilità di fare nomine nei periodi in cui il Senato non è in sessione, evitando così (per due anni) la necessità di conferma da parte della camera alta.

Stabilire il calendario e sfruttarlo a vantaggio del proprio partito è responsabilità del leader della maggioranza, che avrà così le chiavi del percorso di approvazione delle nomine presidenziali.

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