C’erano molte aspettative riguardo alla prima intervista di Kamala Harris da candidata presidente di fronte alle telecamere di una grande testata televisiva. E la scelta di apparire in un network amico come la Cnn con una giornalista come Dana Bash si è rivelata tutto sommato una scelta priva di rischi ma anche senza sorprese.

Certo chi si aspettava delle precisazioni riguardanti le sue future scelte politiche è rimasto in parte deluso ma non al punto da affermare che l’intervista, fatta insieme al suo vice Tim Walz, sia andata male o che si possa ricordare per gaffe che non ci sono state. Forse in parte il suo avversario Donald Trump ha ragione sul fatto che sia stata in parte “noiosa”. Però ciò che conta era reintrodursi con successo davanti al grande pubblico statunitense che in parte ricorda ancora la sua prima candidatura alla presidenza, caotica e con idee riformatrici troppo confuse per convincere gli elettori.

Uno dei momenti maggiori dell’intervista però senz’altro è stato il suo impegno a nominare almeno un repubblicano nella sua futura amministrazione, anche se ha affermato di non «avere nessuno in mente», se non altro per non creare problemi a questa misteriosa figura politica nei prossimi mesi.

Nella storia politica statunitense, non è infrequente. Si ricordano di recente le nomine dell’ex senatore repubblicano del Nebraska Chuck Hagel come segretario alla difesa nell’amministrazione di Barack Obama o anche la presenza del dem Norm Mineta come segretario ai trasporti negli anni di George W. Bush.

Una strategia ben precisa

L’affermazione fatta da Harris però riguarda anche una strategia ben precisa di tentare di cancellare l’immagine fallace di lei quale rappresentante dell’ala sinistra dei dem, concetto ben rimarcato anche con le dichiarazioni riguardanti il fracking per estrarre gas e petrolio, pratica che nel 2019 diceva di voler proibire a livello federale, così come l’immigrazione e l’approccio al conflitto a Gaza.

Nel primo caso ha ribadito di voler mettere in sicurezza il confine, mettendo da parte l’approccio che aveva cinque anni fa tutto incentrato sull’accoglienza e ricordando anche, quando era procuratrice generale della California, ha combattuto duramente le organizzazioni che portavano migranti clandestinamente sul suolo americano. Una strategia che appare mutuata dalla campagna vincente del leader laburista Keir Starmer in Gran Bretagna, diventato poi primo ministro lo scorso luglio.

Su Gaza invece, ha deluso le aspettative della sinistra dem dicendo che non farà mai mancare il suo sostegno a Israele, affermando però che ci «sono troppi civili morti palestinesi» e che la via migliore per uscire da questa situazione è un cessate il fuoco. Niente quindi riguardo a possibili condizioni di porre a Tel Aviv riguardo nuove forniture militari.

C’è stata anche una domanda critica per il suo vice Walz, che comunque è rimasto un passo indietro rispetto ad Harris, su una sua dichiarazione riguardo alle armi d’assalto che lui avrebbe usato “in guerra” anche se durante i suoi anni da militare professionista non è mai stato in zone di combattimento. Questione che ha liquidato in fretta dicendo che si tratta chiaramente di un bisticcio verbale e che chi ha sollevato la questione la prima volta lo ha fatto in modo fazioso.

Infine, il momento riguardante il passaggio di consegne tra lei e Joe Biden, descritto come giunto in un momento di quiete familiare con le figlie di sua nipote Meena a cui stava preparando dei pancakes, quando, mentre si apprestava a fare un puzzle con le bambine, è arrivata la chiamata del presidente con la sua decisione. In quel momento, ha detto Harris, il suo pensiero «era per lui, non per me», ma è sempre stato chiaro anche prima che, qualora fosse arrivata la scelta di ritirarsi, sarebbe subito arrivato il suo sostegno immediato.

Parlando delle politiche di questi quattro anni però, Harris non ha chiarito cosa cambierebbe e cosa manterrebbe uguale, anche se ha scansato la domanda diretta sul fatto che la cosiddetta Bidenomics sia stata un successo o meno. Però ha messo in luce che ormai gli statunitensi vogliono voltare pagina rispetto all’ultimo periodo. Ed è chiaro che l’idea non è solo quella di sconfiggere Trump e archiviare la sua parabola politica, ma anche quella di superare l’ultimo faticoso e impopolare biennio dell’attuale presidente che appariva sempre più senile e confuso.

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