Lo staff della candidata dem ha incontrato due strateghi provenienti dal Regno Unito che possano aiutare la vicepresidente a entrare in una fase di proposte concrete. Obiettivo: rovesciare la narrazione trumpiana su immigrazione e carovita
Per la campagna elettorale di Kamala Harris è arrivato il momento della fase tre. Se il primo step è stato rappresentato dalla sua frettolosa discesa in campo per sostituire in corsa il malandato Joe Biden, la seconda parte è stata quella della conquista del consenso di tutti pezzi della coalizione che regge il moderno partito democratico.
Nessuno, dalla sinistra radicale fino ai rappresentanti più moderati, ha detto nulla su di lei, se non comunicarle il sostegno entusiasta, a cui è seguito per diverse settimane anche quello dei semplici sostenitori. Dopo aver sconfitto Donald Trump in quello che probabilmente sarà l’ultimo confronto televisivo tra loro due, adesso è la fase della proposta, per consolidare il consenso faticosamente raccolto dopo mesi di scoraggiamento per il declino fisico dell’attuale presidente.
Su cosa puntare maggiormente? Un modello vincente è quello che viene dal partito laburista britannico di Keir Starmer, che ha vinto largamente le ultime elezioni politiche nel Regno Unito lo scorso luglio, un trionfo però dovuto anche al calo verticale del partito conservatore. Ad ogni modo, uno dei punti fermi dell’attuale premier inglese è stato quello di puntare su due temi che normalmente sono scomodi per la sinistra globale: l’immigrazione e il costo della vita.
Anche per questo da metà agosto, quando era ancora in corso la convention democratica, si stanno svolgendo continui confronti e colloqui tra le due sponde dell’Oceano, culminati con la visita a Washington questa settimana di due dirigenti di primo piano dello staff del Labour: Claire Ansley, ex dirigente del dipartimento di politica interna, e Deborah Mattinson, capo stratega dell’intera corsa elettorale.
Similmente a quella di Harris, anche la campagna elettorale britannica è stata breve ma intensa, pertanto, in questi incontri con lo staff di Kamala Harris si sono messe a punto alcune strategie sulle quali abbiamo visto un piccolo anticipo nel dibattito, quando la candidata dem ha parlato proprio del costo della vita e dell’immigrazione, puntando molto sulla lotta ai trafficanti di esseri umani a livello transnazionale e attivando una collaborazione con il Messico.
L’opinione dei due strateghi britannici, rivelata da una lunga conversazione con il magazine Politico, è che Harris sia partita con il piede giusto, ma deve affermare il suo messaggio presso il grande pubblico e rovesciando la narrazione finora usata dai dem e da Biden, secondo cui l’immigrazione non costituirebbe un grande problema.
Nel confronto con il tycoon, infatti, quest’ultimo è rimasto all’angolo tanto da dover ricorrere alla famigerata teoria del complotto sui migranti haitiani che mangerebbero animali domestici, una totale bufala cresciuta tra gli estremisti di destra su X, l’ex Twitter. Anzi, Mattinson e Ainsley pensano che questa sia la chiave per rivitalizzare i partiti di centrosinistra su scala globale che per troppo tempo hanno ignorato le due questioni senza ascoltare un pezzo della loro base che finiva per rivolgersi alle sirene del populismo di destra.
Questa strategia, forse inconsapevolmente, è già stata utilizzata in piccolo in un’elezione suppletiva il 13 febbraio 2024 nello stato di New York, dove il dem moderato Tom Suozzi è riuscito a strappare un seggio ai repubblicani rovesciando il discorso sui repubblicani totalmente disinteressati alla soluzione del problema, preferendo esacerbare il problema per favorire le sorti di Donald Trump.
Una vittoria convincente in un seggio in bilico che quindi può aiutare molti dem anche nel resto degli Stati Uniti, come ad esempio Mary Peltola, deputata dell’Alaska che deve affrontare la rielezione in un territorio fortemente repubblicano. Ciò che importa però è che sia Harris a guidare le danze e a trascinare non solo il ticket dem ma anche gli altri candidati democratici che devono abbandonare il mix di debolezza e diniego finora prevalente.
Serve anche, secondo gli strateghi d’Oltreoceano, piani particolareggiati per affrontare il carovita, altro tema su cui Trump ha puntato molto in queste settimane tanto da fare un video con i principali beni di consumo rincarati che era molto simile a un televendita “ideologica”. Al di là delle facili risate, i dem devono far capire che restano il partito della classe media e dei lavoratori e che sul tema faranno tornare i prezzi sotto controllo. Da evitare quindi il tono trionfale sui dati macroeconomici su crescita e occupazione che però non trovano riscontro né al supermercato né tantomeno al bar o al ristorante, che sempre più si sta trasformando in uno svago quasi lussuoso per una fetta crescente di popolazione.
Anche in questo caso l’esempio viene dai rarissimi dem eletti in territorio ostile come il governatore del Kentuck Andy Beshear, già in lizza per diventare vicepresidente di Harris: lasciare perdere le guerre culturali e puntare dritto su spesa pubblica e aiuto alla classe media. Solo così si può superare la stereotipica immagine elitaria che tormenta i dem da diversi anni.
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