Droni ucraini colpiscono a centinaia di chilometri oltre il confine mentre i russi arrivano a 9 chilometri da Pokrovsk. La Nato promette nuovi aiuti, mentre mosca accusa Kiev di voler colpire la centrale di Kursk e dice che ora ogni negoziato è fuori discussione
Dopo gli attacchi aerei russi degli ultimi due giorni, i più intensi dall’inizio della guerra, che hanno causato oltre dieci morti e blackout in tutto il paese, ora è il turno degli ucraini di rispondere. Mercoledì 28 sono andati in fiamme un deposito di carburante nella regione di Kirov, 1.200 chilometri dal confine, e un secondo nel distretto di Kamenesky, vicino alla città russa di Rostov.
Non è ancora arrivato il momento del misterioso “missile balistico”, di cui Zelensky ha appena annunciato il primo test di successo, ma droni a lungo raggio di Kiev hanno dimostrato ancora una volta la loro capacità di colpire in profondità il territorio russo.
Sfida impari
Ma quella condotta dai droni dei servizi segreti e delle forze speciali ucraine resta, in tutti i sensi, una battaglia sproporzionata. A fronte dei due depositi di carburante incendiati, gran parte dell’Ucraina continua a essere senza luce a causa dei bombardamenti russi. Mercoledì i blackout programmati nelle principali città dell’Ucraina sono stati allungati per fronteggiare i danni inaspettati e riparazioni rese difficili dalla presenza di ordigni inesplosi. In diversi quartieri della capitale Kiev, c’è luce per appena sei ore al giorno, di cui due erogate dopo la mezzanotte.
Sempre nella capitale, i tecnici sono ancora al lavoro per rimuovere le macerie dell’attacco contro la diga cittadina, un’infrastruttura critica per la produzione di energia. I tecnici di Ukrhydroenergo hanno detto che non ci sono rischi strutturali di cedimento e hanno ricordato che non una sola centrale idroelettrica in tutto il paese è stata risparmiata dai bombardamenti.
Gli attacchi russi sono proseguiti anche oggi, con minore intensità rispetto all’inizio della settimana. Quattro persone sono morte nella regione di Donetsk nell’esplosione di una bomba russa, mentre un missile ha colpito la città di Kryvyi Rih, ferendone otto persone.
Ma è sul fronte di terra del Donbass che la situazione è sempre più difficile. Secondo il progetto di monitoraggio del conflitto ucraino, Deep State, considerato vicino alle forze armate di Kiev, i russi sono ormai arrivati a nove chilometri da Pokrovsk, snodo logistico che prima della guerra aveva oltre 60mila abitanti e che oggi costituisce una delle principali città ancora sotto controllo ucraino nella regione di Donetsk. In particolare, Deep State ha citato un soldato incaricato della ricognizione in una brigata ucraina, secondo cui i russi sarebbero entrati nel villaggio di Memryk «come durante una parata», segno che i difensori si erano già ritirati.
Secondo Deep State, l’incursione ucraina a Kursk, dove le truppe di Kiev hanno occupato fino a 1.200 chilometri quadrati di territorio russo, non è ancora riuscita a distogliere soldati dal fronte del Donbass. I russi avrebbero riparato la breccia schierando unità disparate, ma senza intaccare la loro principale offensiva, che punta a conquistare le città di Pokrovsk, Vulhedar, Toretsk e Chasiv Yar e completare così l’occupazione dell’intero Donbass.
Pericoli nucleari
A proposito di Kursk, i russi continuano ad accusare gli ucraini di mettere in pericolo la locale centrale nucleare. Secondo l’agenzia nazionale Tass, unità della guardia nazionale russa avrebbero disinnescato una bomba a grappolo inesplosa proveniente da un lanciamissili di fabbricazione americana Himars e caduta vicino alla centrale nucleare.
L’impianto di Kursk si trova a circa 35-40 chilometri dal fronte aperto dagli ucraini con la loro incursione e martedì era stato visitato dal direttore dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica, Rafael Grossi, secondo cui la centrale era a rischio di possibili «incidenti» a causa della prossimità dei combattimenti. Tra gli altri, Grossi ha anche ispezionato un’area della centrale colpita da un drone kamikaze di provenienza ucraina, dicono i russi.
Al Cremlino, però, le parole di Grossi non sono sembrate abbastanza dure. La portavoce del ministero degli Esteri, Maria Zakharova, ha criticato il direttore dell’Aiea e chiesto una condanna più dura per gli attacchi che, sostiene, Kiev avrebbe compiuto nei pressi della centrale.
Nella stessa conferenza stampa, Zakharova ha escluso ancora una volta i colloqui di pace con l’Ucraina, dopo l’incursione a Kursk: «Trattative di pace con il regime terroristico di Kiev sono fuori questione al momento». Parole che fanno eco a quelle di Zelensky, che ha escluso negoziati con la Russia mentre il «30 per cento» dell’Ucraina è occupato. Ma il presidente ucraino ha anche mantenuto un livello di ambiguità sui possibili negoziati, come spesso avviene in questi mesi, affermando che l’operazione di Kursk servirà comunque a trattare nel corso della futura conferenza di pace, a cui è stata invitata anche la Russia (non c’è ancora né un luogo né una data per l’evento, ma Kiev ha affermato più volte di voler organizzare il summit prima delle elezioni americane).
Nuovi aiuti
Una reazione ai bombardamenti di questa settimana è arrivata dal segretario uscente della Nato, Jens Stoltenberg. Lo sforzo enorme compiuto dagli ucraini per intercettare missili e droni russi lanciati contro le loro città ricorda agli alleati che «per continuare a difendersi Kiev ha bisogno di maggiori rifornimenti e più supporto – ha detto Stoltenberg – Oggi gli alleati riaffermano la loro volontà di intensificare gli aiuti all’Ucraina».
Ma al di là dei discorsi, di volontà di aumentare significativamente la spesa e l’impegno destinati all’Ucraina, però, al momento se ne vede poca. In un documento risalente al 22 luglio e pubblicato dal quotidiano tedesco Die Welt, il servizio diplomatico estero dell’Unione valuta pro e contro della possibilità di addestrare i soldati di Kiev direttamente in Ucraina, una possibilità fortemente voluta dal presidente francese, Emmanuel Macron. Ma il documento si conclude osservando che al momento sembrano mancare le condizioni politiche minime necessarie. E, infatti, dalle elezioni francesi che hanno visto punita la coalizione di Macron, l’argomento sembra sparito dai tavoli europei.
© Riproduzione riservata