Umiliato e accantonato, il presidente ha lanciato precisamente il tipo di messaggio che mette in fuorigioco i democratici alle prese con Trump
I democratici sono furibondi con il presidente Joe Biden, che concedendo la grazia al condannato e tormentato figlio Hunter rende ora molto più complicato per i suoi criticare Donald Trump, figura che ha costruito la sua rielezione presentandosi come vittima di una giustizia piegata alle ragioni della politica.
Biden ha dato sostanzialmente ragione a Trump e i compagni di partito si stracciano le vesti per questa devastante esibizione di nepotismo. Il governatore del Colorado dice che è «deluso» da un precedente che «tristemente macchierà la sua reputazione», il deputato Greg Stanton ha spiegato che «non era una persecuzione motivata dalla politica», altre figure hanno speso parole critiche e altre ancora – quelle più pesanti – non hanno dato voce pubblica al disappunto che evidentemente trasuda da tutti i pori del corpo del partito.
Ma cosa si aspettavano, che Biden se ne andasse dalla Casa Bianca con un inchino? Volevano anche un mazzo di fiori e i cioccolatini?
Il presidente è stato isolato e ridicolizzato, i suoi lo hanno costretto ad abbandonare la corsa per la rielezione contro la sua volontà, per farlo hanno paventato di chiudere i rubinetti dei finanziatori, gli hanno rinfacciato la presunta promessa di fare un mandato soltanto – peccato però che quella promessa non l’avesse mai fatta, era soltanto legittima deduzione e malizioso wishful thinking – e per completare il ciclo dell’umiliazione mancava soltanto la minaccia di trasferimento coatto in una casa di riposo.
Alla fine Biden si è dovuto piegare, ma era chiaro perfino nella sua comunicazione formale che la decisione di farsi da parte era libera quanto quella di uomo che ha una pistola puntata alla tempia. Intanto, Nancy Pelosi, Barack Obama e altri pezzi grossi del partito lavoravano per mettere al suo posto, senza consultare in nessun modo la base, la politica meno titolata, la vicepresidente meno amata e la candidata meno competitiva della storia recente, caratteristiche che incredibilmente si presentavano nella stessa persona, Kamala Harris.
Mentre l’escluso Biden rimuginava senza darlo a vedere – in linea con il suo impeccabile decoro istituzionale – lei bruciava circa un miliardo di dollari per imbastire una campagna condotta male e conclusa peggio.
Con il senno di poi è tutto facile, va bene, ma il partito che ha organizzato una inedita e cinica manovra di palazzo per cacciare il presidente in carica doveva mettere in conto che Biden, non ancora ospite di una Rsa, in qualche modo l’avrebbe fatta pagare. E il prezzo sarebbe stato molto alto in caso di una sconfitta di Harris, circostanza che avrebbe dimostrato azzeccata l’intima convinzione di lui di essere un candidato più forte della sua vice.
Ed ecco che il presidente ha presentato il conto, nella forma di una manovra che determina il trionfo degli interessi privati sulla cosa pubblica, precisamente il tipo di messaggio che mette in fuorigioco i democratici alle prese con Trump.
Tuttavia, sono gli stessi democratici che hanno manovrato in modo ben poco democratico quando si è trattato di accompagnare il consumato presidente all’uscita, e ora recitano la parte degli amici traditi. Quella di Biden è in superficie una difesa famigliare, ma più in profondità è una vendetta politica.
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