- Un video di novanta secondi dove un militare russo sgozza con un coltello un prigioniero ucraino. Novanta secondi di una crudeltà inaudita che richiama alla mente le decapitazioni dell’Isis, come ha dichiarato il ministro degli Esteri ucraino Dmytro Kuleba.
- A partire dalle atrocità commesse nelle guerre nei Balcani e in altre zone del mondo, è lecito, infatti, domandarsi se i crimini di guerra non stiano diventando una consuetudine ovvero stiano “normalizzando” i conflitti contemporanei.
- Dal 24 febbraio 2022 diversi quotidiani internazionali, come Guardian e New York Times, hanno riportato la notizia di crimini di guerra perpetrati dai soldati russi e ucraini nei confronti dei rispettivi prigionieri.
Un video di novanta secondi dove un militare russo sgozza con un coltello un prigioniero ucraino. Novanta secondi di una crudeltà inaudita che richiama alla mente le decapitazioni dell’Isis, come ha dichiarato il ministro degli Esteri ucraino Dmytro Kuleba.
La circolazione nei social media di questa brutale dinamica ha giustamente provocato sconcerto, orrore e, dopo i casi di Bucha, abbiamo un’ulteriore conferma che in questo conflitto i crimini di guerra ad opera degli invasori russi si protraggono ormai da un anno.
Tralasciando la questione sulla presunta veridicità o meno di questi video (l’unico dubbio effettivo è quando sia realmente accaduto), messa in questione dal portavoce presidenziale Dmitrij Peskov, la visione di questa decapitazione pone, oltre alle considerazioni sulle responsabilità dei mercenari di Wagner e del Cremlino, un’altra questione. Come è possibile che si possa arrivare a tali livelli di crudeltà tra popoli considerati “fratelli”?
Normalizzare l’orrore
Le cause, le modalità della guerra e cosa possano generare nelle menti e nelle azioni umane sono questioni trattate e analizzate da diverse discipline da tempo. Certo, non tutte i conflitti armati producono crimini di guerra e questa è un’argomentazione che porta alcuni opinionisti a distinguere tra “guerre giuste” e “guerre sbagliate” mentre altri sostengono che nessuna guerra è giusta.
C’è chi argomenta che morire da prigioniero di guerra con una pallottola in testa o dopo ore di tortura è ben diverso dalla decapitazione da vivi, quasi a voler stilare una classifica degli orrori. Se applichiamo le norme del diritto bellico tutte queste modalità sono considerate “crimini di guerra”, ma il conflitto russo-ucraino ci deve far riflettere anche su un altro aspetto.
A partire dalle atrocità commesse nelle guerre nei Balcani e in altre zone del mondo, è lecito, infatti, domandarsi se i crimini di guerra non stiano diventando una consuetudine ovvero stiano “normalizzando” i conflitti contemporanei verso i quali è molto difficile trovare prove o punire i responsabili.
Impotenti
Dal 24 febbraio 2022 diversi quotidiani internazionali, come Guardian e New York Times, hanno, infatti, riportato la notizia di crimini di guerra perpetrati dai soldati russi e ucraini nei confronti dei rispettivi prigionieri.
Nonostante il mandato di arresto emesso dalla Corte penale internazionale contro il presidente russo Vladimir Putin perché ritenuto «responsabile del crimine di guerra di deportazione illegale di popolazione (bambini) e di trasferimento illegale di popolazione (bambini) dalle zone occupate dell'Ucraina alla Russia», il rischio di un’impunità rimane molto elevato.
Non solo. I mercenari di Wagner, che hanno dimostrato di compiere azioni criminali (anche in Siria), non sono ancora stati dichiarati un’organizzazione terroristica dal parlamento europeo e solo due giorni fa l’Unione europea ha applicato ulteriori sanzioni al “pacchetto Wagner” perché «compromette e minaccia l’integrità territoriale, la sovranità e l’indipendenza dell’Ucraina».
Se sul piano giuridico i crimini saranno, comunque, oggetto di imputazione e di sentenza, è, altresì, vero che un vero e proprio “fratricidio” si sta compiendo in Europa sotto i nostri occhi e ci sentiamo impotenti e increduli.
Rancore e vendetta
È sconcertante leggere i commenti nei social, anche tra antiputinisti, che esprimono odio nei confronti del popolo ucraino e di chi ha compiuto quel gesto crudele. Tra le frasi più comuni che ricorrono in alcuni canali Telegram: «è un video da verificare», «è la nostra vendetta per quello che hanno fatto ai nostri martiri», «nessuno si preoccupa di quello che accade ai nostri prigionieri». Simili toni sono riscontrabili anche nei canali Telegram ucraini dove non mancano, ovviamente, riferimenti al fatto che i soldati ucraini si debbano difendere dall’invasore.
Il punto è che questo desiderio di vendetta e di rancore è radicato non solo tra i soldati, ma anche nelle rispettive società e non sembra essere attribuibile all’atto dell’invasione russa. Dal crollo dell’Unione sovietica non ci siamo evidentemente accorti che un odio latente era rimasto “congelato” nella storia e nelle diverse generazioni di questi popoli per secoli e ora è esploso con ferocia.
È difficile prevedere, effettivamente, quanto tempo dovrà passare prima che questa frattura politica e culturale sarà sanata. Al momento, sappiamo che fino a quando non si troverà una soluzione pacifica, i crimini di guerra continueranno.
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