Le foto delle oltre 240 persone rapite da Hamas sono diventate un simbolo del conflitto. Per questo vengono strappate o imbrattate da chi difende le ragioni dei palestinesi
I poster raffiguranti gli ostaggi israeliani sono diventati uno dei simboli della guerra tra Israele e Hamas. Da settimane campeggiano a Dizengoff Square, la piazza centrale di Tel Aviv, insieme a lumicini e bandiere israeliane in una sorta di memoriale della guerra in corso.
Vengono usati nelle ormai molteplici installazioni, come le tavolate imbandite a cielo aperto con i poster incollati alle sedie, realizzate un po’ ovunque in Israele dai gruppi di parenti degli oltre 240 ostaggi, per tenere alta l’attenzione sul dramma che stanno vivendo.
Ma fuori Israele, dove pure sono stati affissi in grandi città come New York e Londra, sono stati più volte strappati o imbrattati come forma di protesta da chi in questa guerra dice di prendere le parti dei palestinesi di Gaza.
Atti che hanno suscitato accese discussioni, sia per strada, sia soprattutto sui social, dove video di questi episodi circolano costantemente da giorni. Un video diffuso mercoledì mostrava alcuni newyorchesi mentre allontanavano un giovane con il volto semi coperto, che voleva staccare dei poster dedicati a dei bambini ostaggio di Hamas da un palo tra la sessantottesima strada e Lexington Avenue. Una donna ha abbracciato il palo per proteggere i poster. Si è sfiorato lo scontro fisico col giovane.
Le reazioni
Episodi di questo tipo hanno suscitato varie reazioni. C’è chi li ha considerati manifestazioni di libertà di espressione e di condanna della condotta bellica israeliana. Altri come un gesto di appoggio alla causa palestinese. Molti, invece, li hanno interpretati come una scelta di campo, appoggiare Hamas, nel disprezzo del dolore del popolo israeliano. Le comunità ebraiche dei paesi occidentali hanno reagito con molta rabbia, indignazione e tristezza.
«La gente che lo fa mi fa pena», racconta al telefono da New York Nitzan Mintz, un’artista israeliana che con Dede Bandaid e altri colleghi israeliani ha disegnato i poster.
«Se sapessero quanta tristezza c’è dietro quei poster, quanto terrorizzate sono le famiglie degli ostaggi. Dovrebbero immaginare che la persona che amano di più sia stata rapita e qualcuno strappa il poster che la ritrae, a come si sentirebbero in quella situazione».
Sul sito www.kidnappedfromisrael.com si possono scaricare in 32 lingue diverse, incluso l’italiano, i singoli poster dedicati agli ostaggi, la cui età va dai tre mesi agli 85 anni, con i loro nomi e le loro foto. L’intenzione degli attivisti dietro questo progetto, secondo il sito, è quello di mantenere alta l’attenzione sul dramma degli ostaggi e riportarli a casa sani e salvi.
«In noi prevale un sentimento di dolore perché la verità è calpestata» spiega Victor Fadlun, presidente della Comunità ebraica di Roma, commentando i gesti di chi strappa i poster.
«Sento, però, una grande urgenza di portare la verità a galla di modo che l’opinione pubblica si renda conto che chi compie questi gesti sta prendendo le parti di un’organizzazione terroristica criminale le cui prime vittime sono gli abitanti di Gaza e le seconde gli innocenti civili di Israele».
Attacchi antisemiti
A destare l’allarme delle comunità ebraiche e non solo, è anche il fatto che questi atti si sommano ad altri episodi, questi di palese antisemitismo, come l’incendio appiccato nella sezione ebraica del cimitero centrale di Vienna e le svastiche disegnate sui muri o le stelle di David comparse sulle porte di edifici di Parigi.
Episodi che non hanno risparmiato il nostro paese con quattro pietre d’inciampo imbrattate a Roma e la stella di David sulla parete di un palazzo di Milano in cui abita una professoressa di origini ebraiche.
Manifesti con i volti degli ostaggi rapiti il 7 ottobre sono stati strappati, vandalizzati e in alcuni casi bruciati anche a Bologna, al memoriale della Shoah in via Matteotti. A Napoli, ieri, i volti raffigurati sui manifesti affissi in pieno centro sono stati cancellati o coperti con il pennarello nero.
«Penso sia paragonabile a strappare o dare fuoco alle bandiere di Israele durante le manifestazioni. Si vuole disconoscere l’esistenza intera di una nazione e, se una nazione non ha diritto di esistere, non ha neanche diritto di proteggere i suoi cittadini» continua Fadlun.
In un altro video, stavolta girato nel Regno Unito, si vedono due giovani musulmani che strappano dei poster affissi a una fermata dell’autobus. Una donna cerca di fermarli, urlandogli che Hamas è un’organizzazione terroristica e facendogli notare che le persone ritratte sono dei civili.
«Israele è un’organizzazione terroristica. Non parlarmi di Hamas. Bambini muoiono tutti giorni», risponde furioso uno dei due giovani.
Vittime vs vittime
La contrapposizione tra le vittime delle due parti emerge continuamente, quasi a suggerire che, almeno per alcuni, sia necessario fare una scelta di campo e decidere di addolorarsi solo per le vittime e gli ostaggi israeliani oppure solo per i civili palestinesi di Gaza.
Giovedì pomeriggio, il giornalista anglo-iraniano Jonathan Harounoff ha condiviso un video su X dicendo: «In mezzo a tutta questa epidemia di odio, il momento tenero di un uomo anziano che mostra il suo amore per quegli israeliani dispersi o rapiti».
Nel video si vede l’uomo che, avanzando lentamente chinato su uno striscione coperto dalle foto dei rapiti e dispersi, manda baci a tutti loro. Tra le molte reazioni al post di Harounoff, normalmente di apprezzamento e anche commozione per il gesto dell’uomo, un utente ha postato una foto di due bambine col viso insanguinato. La didascalia: Israele ammazza bambini palestinesi a sangue freddo.
Mintz rifiuta la giustificazione data da alcuni che hanno strappato i poster secondo la quale il loro gesto è una manifestazione della loro libertà di espressione.
«È una scemenza. La libertà di espressione è creare un poster diverso che ritrae dei palestinesi, può essere un dipinto che mostra la sofferenza provocata dalla guerra. Levarli non è libertà di espressione, è vandalismo, è un atto crudele e barbaro. Se vedessi per strada dei poster che mostrano la sofferenza dei palestinesi, non li strapperei mai. Non oserei mai toccarli. Mai» spiega Mintz.
È d’accordo con l’artista israeliana, Rafael Shimunov, un artista e attivista ebreo di origine uzbeka, impegnato con altri attivisti statunitensi a manifestare per chiedere il cessate il fuoco a Gaza. Invita in un post, sul suo account Instagram, a non toccare i poster degli ostaggi israeliani.
«Aggiungi i tuoi», scrive. «Perché non la smettiamo di disumanizzarci a vicenda e capiamo le diverse ragioni di chi li mette e chi li leva?»
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