Il nuovo tour del premier israeliano fra i media americani rivela senz’altro la volontà di mantenere i rapporti con la Casa Bianca, ma fa anche intravedere linee politiche future con cui il primo ministro vuole mantenersi al potere
Come nei momenti più tesi delle manifestazioni contro la riforma giudiziaria, quando Israele viveva una divisione interna senza precedenti e lui doveva togliersi di dosso l’immagine di novello autocrate sulle orme di Viktor Orbán, Benjamin Netanyahu ha iniziato un nuovo tour fra i media americani.
Questa volta lo spunto arriva dal web, con un’intervista esclusiva sul canale YouTube di Phil McGraw, ex psichiatra e discusso anchorman televisivo.
Un Bibi che non mostra segni di cedimento, padrone della sua immagine e del mezzo attraverso cui parla, rilancia il consueto copione a uso e consumo esterno: stiamo combattendo il nuovo nazismo; immaginate cosa sarebbe successo se nel 1945 gli eserciti alleati si fossero fermati prima di Berlino e avessero lasciato intatto il 20 per cento della forza militare nazista; dobbiamo entrare a Rafah e finire l’opera di eradicazione di Hamas; non abbiamo alternative; se non lo facessimo, si riorganizzerebbero e tornerebbero a occupare Gaza e minacciare Israele.
E ancora: per noi è una tragedia ogni vittima civile, per loro è strategia; facciamo tutto il possibile per evacuare la popolazione civile, ma se ci si facesse ricattare dalla strategia degli scudi umani, ogni democrazia combatterebbe con le mani legate.
Gli accordi di Abramo
Già all’indomani del raccapricciante attacco di Hamas, ci esprimemmo su queste pagine sulla reductio ad Hitler applicata all’universo islamista, che fa sempre un grande effetto, ma rischia persino di essere deresponsabilizzante rispetto alle vere cause di questi rigurgiti antiebraici, che hanno origini storiche ben precise in certe forme di islam sciita, confluiti negli ultimi decenni in movimenti della galassia sunnita.
Chi volesse informarsi, potrebbe dare un’occhiata agli studi del professor Meir Bar Asher. Ovvio che in questi spostamenti hanno influito tantissimo i nuovi assetti geopolitici del dopo Guerra fredda, dove, caduti gli antichi blocchi, gran parte del mondo sunnita ha iniziato un percorso di avvicinamento allo stato ebraico, di cui gli Accordi di Abramo, vero bersaglio dell’attacco di Hamas, sono stati solo l’ultima tappa.
L’intervista, che si chiude con Netanyahu rivolto alla telecamera in stile Zio Sam, prosegue con il consueto «Stiamo combattendo per voi… il nazismo iniziò con gli ebrei per poi lanciarsi alla conquista del mondo», e via di seguito. Parole che, certo, colpiscono anche l’immaginario israeliano. Tra i tanti slogan, però, alcuni passaggi sembrano avere un destinatario diverso.
Il fronte interno
Quando il premier israeliano si ferma a condannare i sit-in di protesta nei college americani senza mancare di sottolineare toni e modi antisemiti, apostrofa la parte leftist dei manifestanti come anarchici di estrema sinistra. Per chi ha seguito le vicende israeliane degli ultimi anni, è la definizione con cui la sua parte politica ha sempre apostrofato i manifestanti che riempivano le strade di Tel Aviv e di tutti i principali centri del paese, oggi nuovamente compatti nel chiedere le dimissioni del primo ministro, accusato di trascurare gli ostaggi, ritenuto responsabile della débâcle del 7 ottobre e privo di qualunque piano per il dopo guerra.
Parole che non fanno presagire nulla di buono per gli sviluppi politici interni. Man mano che la guerra, non foss’altro per mancanza di altri possibili obiettivi, va verso una non ben definita fase conclusiva, il governo tenterà di legittimarsi additando il nemico interno, magari ostacolo a una sorta di status quo con la presenza dell’esercito a Gaza.
Soluzione semimpraticabile per le risorse che chiederebbe al paese, ma certo in grado di far resistere il suo governo e di tenere insieme, con la ben collaudata arte dell’equilibrista, le esigenze dei vari Smotrich e Ben-Gvir che devono rispondere ai sogni messianici del proprio elettorato, e vecchie e nuove alleanze storiche, a cui si potrà sempre dire che la soluzione è solo temporanea in attesa di ristabilire piena sicurezza ai confini.
Del resto, tra poco gli Usa saranno in piena campagna elettorale, e i temi interni torneranno a occupare il centro della scena, mentre ai sauditi, assai semplicemente, dei palestinesi interessa zero, e certo non sacrificano accordi storici per loro. Sarebbe come non aver imparato nulla da quella maledetta data di ottobre.
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