Da quando ha avuto inizio l’invasione russa in Ucraina, analisti e opinionisti hanno scritto fiumi di parole sul precario stato di salute, sulla pazzia e sulle sfrenate e criminali ambizioni imperialiste di Vladimir Putin. Eppure, leggendo in questi vent’anni i suoi discorsi e le dottrine ufficiali di politica estera e di difesa, sembra proprio che da tempo il presidente russo stia applicando un preciso disegno, volto non solo all’autoperpetuazione e autoaccrescimento del potere monocratico in chiave domestica, ma anche ad una vera e propria sfida all’ordine internazionale di stampo liberale, condivisa ormai da diversi paesi del cosiddetto sud globale.

È in questa strategia politica che può essere inserito anche il recente decreto presidenziale «sulla concessione di sostegno umanitario alle persone che condividono i valori spirituali e morali tradizionali russi». In attesa di comprendere i meccanismi di attuazione procedurale del ministero degli Affari esteri russo e rispetto alle legislazioni precedenti, il principio di base di questo nuovo provvedimento è la concessione ai cittadini stranieri e agli apolidi di risiedere nel territorio russo con un permesso di soggiorno temporaneo senza tener conto della quota stabilita dal governo russo e, soprattutto, senza l’attestazione della conoscenza della lingua, della legislazione e della storia russa purché affermino di rifiutare «le distruttive imposizioni liberali», sostenute dai paesi occidentali.

I flussi migratori

Avvalendoci dei database dell’Eurostat, delle Nazioni Unite, del Migration Portal e del Servizio Statistico Federale russo (Rosstat), possiamo trarre alcune brevi considerazioni sullo stato attuale della migrazione di cittadini stranieri verso la Russia prima e dopo l’avvento della guerra in Ucraina.

In primo luogo, secondo le statistiche dell’Onu sull’immigrazione, la Russia si attesta al quarto posto nel mondo con l’8 per cento dopo gli Stati Uniti, la Germania e l’Arabia Saudita e al terzo posto per numero di emigranti, pari al 6,8 per cento della popolazione russa nel 2020.

Le statistiche russe relative al flusso migratorio nel 2023 dimostrano, invece, un dato abbastanza stabile di immigrati provenienti dalla Comunità degli Stati Indipendenti (Csi) pari a 490.864 unità rispetto ai 69.570 degli altri paesi tra cui si segnalano 257 persone dall’Italia, con una maggiore concentrazione nella fascia d’età compresa tra i 45 e i 54 anni rispetto ai 3.373 dalla Germania, 212 dalla Francia, 10.868 dall’India, 11.483 dalla Cina, 1.357 dall’Afghanistan e 4.602 della Georgia.

Comparando all’interno dei membri dell’Unione europea, fatta eccezione per il caso tedesco, i valori più elevati si trovano nelle repubbliche baltiche, prevalentemente a causa delle espulsioni dei cittadini russi che non hanno i requisiti necessari per il soggiorno in base ai nuovi emendamenti introdotti nella legge sull’immigrazione dopo l’invasione russa in Ucraina: si tratta, quindi, di 641 persone provenienti dall’Estonia, 644 dalla Lituania e 1629 dalla Lettonia.

In secondo luogo, nella Russia di Putin esiste già una legislazione del 2007 sul «rimpatrio dei connazionali», aggiornata nel 2023 per i cittadini russi provenienti dai «paesi ostili», di cui hanno usufruito, però, solo 45mila persone nel 2023 rispetto alle 106mila del 2014, diminuendo di quasi il 60 per cento in dieci anni. Nel 2022 la percentuale di coloro che hanno presentato domanda si è attestata al 16 per cento e nel 2023 solo la metà dei richiedenti si è effettivamente trasferita in Russia, con una prevalenza di cittadini provenienti dall’Armenia, dal Kazakistan e dal Tagikistan.

In sintesi, i numeri parlano chiaro: la politica migratoria intrapresa in questi anni non incrementa l’andamento demografico del paese che costituisce una delle preoccupazioni principali del presidente Putin. A ciò si aggiungano le inefficaci politiche di accoglienza, implementate sulla base di una maggiore o minore sensibilità dei governatori locali sul tema e l’ondata di razzismo e paura nei confronti dell’immigrato, soprattutto proveniente dall’Asia Centrale dopo i recenti attentati terroristici a Mosca. Perché, quindi, firmare un decreto che si tradurrà in un ennesimo fallimento o bluff?

La studentessa italiana

Per Putin nulla è lasciato al caso, ma ogni decisione avviene al momento ritenuto opportuno, sfruttando debolezze o incongruenze del “nemico”. L’aspetto politicamente più rilevante di questa vicenda è, infatti, il riferimento al fatto che la scelta del presidente è stata presentata dai media russi come una risposta alla richiesta della studentessa italiana, Irene Cecchini, durante il forum “Idee forti per tempi nuovi”, di facilitare il conseguimento della cittadinanza russa per coloro che amano questo paese.

In Russia (e non solo…), esiste un team preposto all’elaborazione di eventi pubblici, propedeutici alle scelte del presidente Putin. Così come la ragazza è stata intercettata affinché sottolineasse la problematicità della cittadinanza russa, allo stesso modo la senatrice Valentina Tereškova aveva espresso la richiesta di modificare la Costituzione russa per consentire a Putin di proseguire il mandato presidenziale. In entrambi i casi, dopo poco tempo, il presidente russo è intervenuto con decreto presidenziale per dimostrare anche all’opinione pubblica russa quanto tenga conto (la famosa accountability delle democrazie liberali!) dei desideri e delle esigenze dei cittadini.

Più rilevante è l’effetto che questo decreto può avere anche al di là del confine russo. Da un lato, il Cremlino vuole, infatti, diffondere l’immagine tra la popolazione russa di un mondo occidentale sempre più in crisi da cui i cittadini scappano e dove la Russia s’inserisce e si erge come garante e baluardo del conservatorismo occidentale. Dall’altro lato, sfrutta la “studentessa italiana” al fine di destabilizzare e polarizzare il dibattito politico tra forze di governo e di opposizione, mettendo anche alla prova la lealtà o il posizionamento, anche nell’emiciclo europeo, di quei partiti, come la Lega di Salvini e Fratelli d’Italia, che condividono una “sensibilità conservatrice” con il partito Russia unita.

Infine, decisamente più subdolo è il tentativo di dimostrare che la Russia è più “liberale e aperta” degli Stati occidentali che non hanno accolto, nella maggior parte dei casi, chi fugge dai valori “illiberali”, spesso additando i russi nei mass media, anche da parte di chi ricopre ruoli in importanti centri di ricerca o istituzioni, come complici di Putin.

La questione non è solamente politica, ma anche etica, e le classi politiche occidentali non possono permettersi di prestare il fianco a Putin anche sul tema dell’accoglienza perché di “contraddizioni e doppia morale” le democrazie possono lentamente morire.

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