Dopo 438 giorni di guerra le voci di un accordo per la tregua nella Striscia di Gaza in cambio del rilascio degli ostaggi detenuti si fanno sempre più forti e concordanti. Hamas ha dichiarato che i colloqui sulla tregua che sono in corso a Doha, in Qatar, sono «seri e positivi»
Dopo 438 giorni di guerra le voci di un accordo per la tregua nella Striscia di Gaza in cambio del rilascio degli ostaggi detenuti si fanno sempre più forti e concordanti.
Hamas ha dichiarato che i colloqui sulla tregua che sono in corso a Doha, in Qatar, sono «seri e positivi». La dichiarazione segue di un giorno l’arrivo di una delegazione israeliana a Doha per incontrare i mediatori.
«Hamas afferma che, alla luce delle discussioni serie e positive che si stanno svolgendo a Doha sotto gli auspici dei nostri fratelli qatarioti ed egiziani, è possibile raggiungere un accordo per un cessate il fuoco e uno scambio di prigionieri (ostaggi detenuti a Gaza e detenuti palestinesi da Israele, ndr) se l'occupazione smette di imporre nuove condizioni», ha dichiarato Hamas in un comunicato. Il gruppo armato, dal canto suo, avrebbe accettato una proposta che non prevede il ritiro completo israeliano dalla Striscia ma il mantenimento dei carri armati al confine egiziano e nel centro di Gaza così da dividere in due l’enclave.
L’ottimismo americano
Anche la Casa Bianca è intervenuta sul dossier: «Riteniamo che ci stiamo avvicinando a un accordo di cessate il fuoco a Gaza», «crediamo, e gli israeliani lo hanno detto, che ci stiamo avvicinando, e non c'è dubbio, ci crediamo, ma siamo anche cauti nel nostro ottimismo», ha detto il portavoce per la sicurezza nazionale della Casa Bianca, John Kirby, in un'intervista a Fox News. «Ci siamo già trovati in questa posizione in cui non siamo riusciti a tagliare il traguardo», ha aggiunto Kirby, che non ha risposto alla domanda se il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, dopo aver visitato le alture occupate del Golan al confine siriano con i suoi generali, si stesse recando al Cairo per dei colloqui.
Ma dopo un lancio dell'agenzia Reuters, il portavoce del capo del governo ha smentito la presenza di nella capitale egiziana, senza però negare il viaggio.
È possibile anche che il presidente eletto Donald Trump abbia manifestato nel corso dell’ultima telefonata a Netanyahu il desiderio di vedere la fine delle ostilità a Gaza prima del suo insediamento il 20 gennaio, e a quanto pare le sue pressioni potrebbero aver avuto un impatto maggiore di quelle di Joe Biden sul processo di pace.
Anche gli egiziani danno segnali di ottimismo. «Intensi sforzi egiziani e qatarioti con tutte le parti per raggiungere un accordo di tregua nella Striscia di Gaza», scrive l'emittente pubblica egiziana al-Qahera. L'Egitto ha convocato «con urgenza» il presidente dell'Anp, Abu Mazen, al Cairo. Secono la tv di Hezbollah, Al Mayadeen, il presidente dell'Anp è in viaggio dal Vaticano alla capitale egiziana nell'imminenza di una svolta nell'accordo con Hamas sugli ostaggi.
Jolani: «Milizie da sciogliere»
Nel frattempo Abu Mohammed al Jolani, leader del gruppo ex jihadista Hayat Tahrir al-Sham (Hts) che ha rovesciato il presidente Bashar al-Assad oggi a Mosca, ha annunciato che le forze di opposizione nel paese saranno sciolte e i loro combattenti si uniranno alle unità dell'esercito regolare. «Le fazioni saranno sciolte e i combattenti addestrati per unirsi ai ranghi del ministero della Difesa», ha detto Jolani, che ora usa il suo vero nome Ahmed al-Sharaa.
Inoltre una fossa comune che potrebbe contenere i resti di oltre 100mila corpi è stata rinvenuta a 40 chilometri a nord di Damasco, nella località di al-Qutayfah. Lo riporta l’emittente al-Jazeera citando la stima fatta sul posto da Mouaz Moustafa, capo dell’organizzazione non governativa Syrian Emergency Task Force con sede negli Stati Uniti.
Intanto una delegazione francese è arrivata a Damasco per riprendere i contatti con la nuova dirigenza politica del paese che non ha ovviamente ancora trovato un assetto stabile. «Il conflitto in Siria non è ancora finito»: ha dichiarato l'inviato speciale delle Nazioni Unite, Geir Pedersen, che ha lanciato il monito mentre continuano gli scontri tra forze filo-curde e filo-turche nel nord. «Ci sono state ostilità significative, prima che fosse negoziato un cessate il fuoco di cinque giorni che è scaduto e sono preoccupato dalle notizie di un'escalation militare», ha detto Pedersen «che potrebbe essere catastrofica».
La Siria è diventata terreno di scontro tra Turchia e Israele ma dietro il duello fra i due stati (entrambi non arabi in una regione a maggioranza araba) potrebbe ergersi, come scrive Ft, la potenza finanziaria dell’Arabia Saudita e dei paesi del Golfo nel definire i nuovi destini di Damasco.
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