In realtà come la repubblica islamica, ma anche in molte altre parti del mondo, le donne libere sono considerate un pericolo. Per questo veniamo definite “pazze”. Le donne iraniane, in realtà, sono delle eroine, per noi tutte, perché riescono ad alzare la testa contro un regime guerrafondaio
Donna, vita, libertà, non è solo un motto ma rappresenta una chiara visione di società e di mondo che spaventa perché ridisegna i confini del potere e dei potenti e contrasta quel potere patriarcale e violento che vuole solo abusare e possedere noi donne.
Noi donne, relegate ai margini incarniamo l’ipotesi ostinata e non più clandestina che una società alternativa senza violenze, odio e abusi e guerre sia possibile. Quello che il movimento rappresenta è una convinzione chiara che sia possibile un mondo diverso, che non odi noi donne e smetta questa guerra contro di noi lunga secoli.
Da 45 anni il popolo iraniano è impegnato in una resistenza anche femminista per l’ottenimento della libertà, per uno stato democratico iraniano contro un regime che odia le proprie cittadine e i propri cittadini.
A due anni dall’uccisone di Mahsa Jina Amini assistiamo a continue violenze, arresti, stupri, torture, uccisione e incarcerazione contro chi manifesta in solidarietà delle donne.
Nel mese di luglio il regime islamico ha condannato a morte Sharifeh Mohammadi, sindacalista, e Pakhshan Azizi, attivista curdo iraniana. La loro colpa è quella di aver leso la sicurezza dello stato.
Dal 30 luglio, e ogni martedì della settimana, le donne in Iran fanno lo sciopero della fame promosso da Narghes Mohammadi, premio Nobel per la pace 2023, e da altre attiviste imprigionate nel carcere di Evin per chiedere la fine delle esecuzioni capitali.
Il nemico principale
La teocrazia negli anni ha riconosciuto quali nemici della morale e dello stato studenti, politici, professori, avvocati ma soprattutto vede nella donna il nemico principale.
È emblematica la vicenda che ha riguardato Ahou DAaryaei, il suo nome significa “cerbiatto”. Fermata e molestata dalla polizia del campus universitario di Teheran per via del suo abbigliamento. Alcune fonti dicono che sia stata spinta, picchiate e che per questo i suoi vestiti si sono strappati. In un atto di disobbedienza civile Ahou quei vestiti ha deciso di toglierseli restando inerme in biancheria intima davanti alle guardie del regime islamico.
È stata descritta come mentalmente instabile, pazza, e per questo portata di forza in un ospedale psichiatrico. Dove è rimasta rinchiusa per giorni.
«Pazza», questa è stata la tesi riportata dai giornali e dalle televisioni legate al regime islamico in Iran, ma anche la tesi riportata dai giornalisti in Europa e in Italia. La disobbedienza di Ahou è stata considerata come il gesto di una folle e non come un gesto politico.
In realtà in Iran, come in molte parti del mondo, le donne libere sono considerate un pericolo e per questo veniamo definite pazze. Le donne iraniane, in realtà, sono delle eroine, per noi tutte, perché riescono ad alzare la testa contro un regime guerrafondaio.
Continuiamo a essere giudicate semplicemente donne “diverse”, e quindi qualcosa di meno. È ciò che avviene anche nella nostra cultura occidentale, dove il valore economico del nostro lavoro e la nostra presenza sono svalutati, e i nostri diritti sociali come cittadine sono ridotti.
Il patriarcato esiste. Oggi come ieri l’Italia non è un paese per donneApartheid di genere
Stiamo assistendo a una vera apartheid di genere, come denuncia Narghes Mohammadi, dove i nostri diritti vengono sistematicamente eliminati e noi diventiamo sempre più marginali ed emarginate.
È una caccia alle streghe contro la donna libera, emancipata, che lotta per gli ultimi e per la giustizia sociale e per la pace. La resistenza non violenta delle donne sta mettendo in soggezione il regime islamico dell’Iran, ma spesso risulta estranea alla politica e alla cultura dell’Occidente.
Questa propaganda politica ha continuato a perpetuare abusi e violenze non solo nei confronti delle donne ma contro tutti coloro i quali nei decenni hanno messo in dubbio la cultura del patriarcato. Cultura o dovremmo chiamarla consuetudine che va oltre ogni confine?
Da 45 anni le donne nella repubblica islamica dell’Iran sono relegate ai margini della società, in una condizione di subalternità tracciata anche dall’indifferenza e dal silenzio della comunità internazionale.
Questa, la nostra voce donna, vita, libertà, non trova posto nei luoghi della politica internazionale. Il motto donna, vita, libertà ha riecheggiato nelle piazze di tutto il mondo e ha mostrato che vogliamo dare il nostro contributo perché è nostro diritto contare!
Il silenzio che accompagna la resistenza delle donne e degli uomini in Iran è diventato insopportabile e trova eco nel resto del mondo. È nostro compito far riecheggiare il canto di libertà e democrazia in Iran.
Donna, vita, libertà sempre e ovunque!
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