A circa 400 chilometri di distanza da Gaza, nella città del Cairo, si sono riuniti i ministri degli Esteri dei paesi membri della Lega Araba. È il primo incontro da quando è scoppiato il conflitto tra Hamas e Israele e i leader arabi erano chiamati a decidere quale strategia comune adottare per cercare di disinnescare la crisi più grave degli ultimi anni. In queste ore concitate non è facile prendere decisioni, a due ore dall’inizio della riunione non era uscita ancora alcuna notizia sull’incontro. A rompere il silenzio un’agenzia stampa sull’intervento del segretario generale della Lega Araba, Ahmed Aboul Gheit. «Ci sono serie possibilità che la situazione peggiori e che la portata degli scontri si allarghi, possibilità che spero non si concretizzino perché potrebbero spingere l’intera regione su terreni sconosciuti», ha detto l’alto funzionario.

Nessuna menzione sull’attacco di Hamas del 7 ottobre ma una condanna con «massima fermezza» degli attacchi israeliani a Gaza.

In mattinata il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi, al quale i paesi occidentali hanno affidato il ruolo di mediatore, ha chiesto alle Nazioni unite di supportare una tregua umanitaria. La proposta è quella di concedere sei ore di tempo per far arrivare dentro la Striscia di Gaza viveri, medicinali e beni di prima necessità. Al momento i due milioni di civili, che prima della guerra sopravvivevano soprattutto con gli aiuti umanitari, sono isolati e l’Egitto non ha intenzione di accoglierli. Anche la Russia ha iniziato a muoversi.

Il Cremlino ha annunciato che nei prossimi giorni riceverà la visita del presidente dell’Autorità nazionale palestinese Abu Mazen anche se in questo momento la sua figura politica – già precaria negli ultimi anni – è più debole che mai. Non è un caso il silenzio di Abu Mazen di questi giorni. La speranza del Cremlino è quella di avere voce in capitolo in caso di trattative future e ottenere un qualche tipo di credito o concessione sulla guerra in Ucraina, ma è anche un primo passo per tutelare il presidente e alleato siriano Bashar al Assad nel caso in cui il conflitto chiamasse in causa altri attori come Hezbollah.

Il terzo ostaggio italiano

Al Cairo era presente ieri anche il capo della Farnesina Antonio Tajani. Dall’altra sponda del Mediterraneo il ministro ha annunciato che un terzo ostaggio italo-israeliano è nelle mani dei miliziani di Hamas e della Jihad islamica. In Egitto Tajani ha incontrato il suo omologo Sameh Shoukry, il presidente egiziano al-Sisi e ha avuto un colloquio anche con il segretario generale della Lega Araba.

Con le controparti ha discusso sia del conflitto tra Hamas e Israele sia della gestione dei flussi migratori e del contrasto al traffico di esseri umani. Italia ed Egitto hanno firmato un accordo che ha l’obiettivo di importare in Italia manodopera già qualificata da immettere nel mercato del lavoro, soprattutto nel campo dell’agricoltura. Ma il discorso migratorio è passato in secondo piano rispetto alle priorità di arginare il conflitto a Gaza e di riportare in salvo gli ostaggi catturati da Hamas.

Nelle mediazioni l’Egitto è un interlocutore cruciale, già in passato ha trattato diversi casi di scambio di prigionieri, e Tajani spera che riesca ad avviare le trattative anche per il rilascio dei due cittadini italiani finiti nelle mani dei miliziani. «Dal presidente al-Sisi ho trovato orecchie attente e ho ribadito che dovremmo impedire una escalation della situazione e il coinvolgimento di Hezbollah», ha detto Tajani. Il capo della Farnesina ha concluso il punto stampa discorso dicendo di aver riferito al presidente al Sisi la decisione della Consulta sul caso Regeni. Nonostante l’assenza degli imputati dovuta alla mancata collaborazione delle autorità egiziane il procedimento penale continuerà «per la ricerca della verità e della giustizia», ha detto.

 

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