Israele ammassa truppe al confine nord, quello con il Libano. Se sarà invasione parziale o totale lo vedremo. In entrambi i casi sarebbe impossibile garantire, come vorrebbe il ministro Antonio Tajani, l’incolumità dei 1.200 soldati italiani inquadrati nella missione Unifil, la cui quarta versione è in corso dal 2006 e le cui regole d’ingaggio sono fissate dalla risoluzione delle Nazioni unite numero 1701, fortemente voluta, tra gli altri, dal nostro governo, presidente del Consiglio Romano Prodi e responsabile degli Esteri Massimo D’Alema.

E del resto ora che la guerra è ancora nella sua fase aerea almeno un missile è caduto in una zona pericolosamente vicina alla base dei nostri soldati. Era già successo altre volte in questi 18 anni.

La risoluzione fu salutata come un successo della diplomazia italiana. E in effetti lo fu. Si mise fine a un conflitto cruento di 34 giorni, iniziato con il rapimento di alcuni soldati israeliani lungo la linea di confine, Hezbollah usò soprattutto razzi per colpire l’alta Galilea, Israele rispose con attacchi massicci su larga scala che toccarono anche la capitale, Beirut. Una storia che si ripete, con poche varianti.

Se dunque per un congruo periodo si è garantita una sostanziale tregua tra i due Paesi (mai una vera pace), dall’altra non sono mai state rimosse alla radice le ragioni del conflitto. Soprattutto la 1701 è stata dall’inizio violata nei suoi punti principali, anche se si è sempre finto, con una robusta dose di ipocrisia, che tutto funzionasse a meraviglia, fatte salvo le sporadiche e visibilissime scaramucce.

Ciò che si fingeva di non vedere era quanto bolliva, letteralmente, nel sottosuolo. Dove Hezbollah, a imitazione di Hamas a Gaza, aveva iniziato la costruzione di centinaia di chilometri di tunnel, alcuni dei quali sfociavano in territorio israeliano (sono già stati distrutti), cosi attrezzandosi per un conflitto prossimo venturo puntualmente arrivato.

Non solo. Dall’Iran continuavano ad affluire nel sud del Libano armamenti per gonfiare gli arsenali di Hezbollah, fino a toccare l’iperbolica cifra di 150mila missili. E questo nonostante la 1701 preveda al punto 8 «l’istituzione, nella zona compresa tra la Linea blu e il fiume Litani, di un’area priva di personale armato, di posizioni e armi che non siano quelle dell’esercito libanese o delle forze Unifil».

Mai successo. Non solo nell’area cuscinetto tra il confine e il corso del Litani, ma nell’intero sud del Libano fino ai sobborghi di Beirut, l’illegittimo uso della forza è stato sempre esclusiva di Hezbollah senza che il mal attrezzato esercito libanese potesse permettersi di contestarne la presenza, perché inferiore nelle capacità belliche e oltretutto frenato dall’eventualità tutt’altro che remota di scatenare una guerra civile intralibanese.

Tantomeno l’esercito regolare del Paese ha potuto rispettare il paragrafo due dell’articolo 8 per il quale avrebbe dovuto «disarmare tutti i gruppi armati in Libano», o l’articolo 14 in cui gli si chiedeva di impedire l’importazione di armi senza il suo consenso. Di fatto Hezbollah ha potuto agire indisturbato, milizia privata di un partito che praticava un’egemonia militare e politica su una fetta di territorio cruciale come il confine sud. In queste condizioni, i caschi blu hanno puntato sostanzialmente a una riduzione del danno, vigilato affinché non si oltrepassassero alcune linee rosse, accettando di fatto di non rispettare le regole d’ingaggio per cui erano stati reclutati.

In questa nuova fase si trovano a essere vasi di coccio nel possibile urto di un vaso di ferro come Israele, e, se ci sarà invasione, dovranno limitarsi impotenti a osservare l’andirivieni dei carri armati senza potere intervenire. L’esercito regolare libanese si troverà in una posizione ancora peggiore. Dovrebbe per statuto difendere i confini della patria e dunque contrastare l’ingresso delle truppe dello Stato ebraico; contemporaneamente dovrebbe disarmare Hezbollah, impegno mai assolto.

Pronostico: per debolezza intrinseca farà da spettatore, lasciando che se la vedano tra di loro.

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