Volendo usare categorie bibliche quello che Israele e il mondo stanno vivendo è “il tempo dell’attesa”. La tensione nel quadrante oriente resta altissima. Ieri Hamas ha lanciato un razzi verso Tel Aviv, non accadeva da maggio. È caduto in acqua, ma l’attacco dice molto della guerra di nervi che si continua a combattere.

E di certo non è un buon viatico in vista dei colloqui di domani voluti da Stati Uniti, Qatar ed Egitto. Colloqui che però potrebbero segnare una svolta. A meno stando a quanto ieri ha riferito l’agenzia Reuters citando alti funzionari iraniani. Teheran potrebbe infatti decidere di non attaccare Israele se si raggiungesse un accordo per il cessate il fuoco a Gaza. Fosse vero è assai improbabile, quindi, che la rappresaglia si consumi nelle prossime 48 ore. Ma anche questo, come i continui e reciproci bombardamenti lungo il confine Nord con il Libano, fanno parte di quella che potremmo definire “strategia della tensione”. Hamas ha comunque fatto sapere che non parteciperà ai colloqui. E in molti si chiedono se, alla fine, parteciperanno i rappresentanti di Israele.

Veti incrociati

Una fonte di Hamas ha dichiarato al quotidiano saudita Asharq che Yahya Sinwar, nuovo capo politico dell’organizzazione dopo l’uccisione di Ismail Haniyeh, sarebbe favorevole a un cessate il fuoco ma a patto che l’Idf si ritiri dalla Striscia e si avvii la ricostruzione di Gaza. Secondo il New York Times, invece, negli ultimi mesi i negoziatori israeliani sarebbero diventati più intransigenti e avrebbero avanzato nuove richieste che, al momento, renderebbero difficili sia le trattative sia il raggiungimento di un’intesa.

La linea della fermezza, prima di quella del negoziato, sembra avere ancora la prevalenza in Israele anche perché l’Idf continua a colpire la Striscia senza tregua. 

Governo diviso

Ma il proseguimento del conflitto divide il governo di Tel Aviv. Lunedì Netanyahu si era scontrato con il suo ministro della Difesa, Yoav Gallant., Mentre ieri è stato il ministro della Sicurezza nazionale di ultradestra, Itamar Ben Gvir, ha lanciare l’ennesima provocazione salendo sulla Spianata delle moschee con centinaia di seguaci violando le istruzioni della polizia e lo status quo del sito. Il ministro ha ribadito che la sua linea politica prevede che gli ebrei possano pregare nel luogo santo, mentre le attuale direttive non lo permettono.

Il gesto è stato condannato dal mondo arabo e anche l’ufficio del premier israeliano ha condannato il gesto: «Non esiste una politica privata di un ministro specifico al Monte del Tempio, né del ministro della Sicurezza nazionale né di nessun altro ministro». Il capo dell’opposizione israeliana Yair Lapid, commentando quanto accaduto, ha detto che «la campagna elettorale di Ben Gvir durante una guerra, mette in pericolo la sicurezza nazionale, la vita dei cittadini israeliani e dei soldati e dei poliziotti». 

E anche gli Stati Uniti sono intervenuti sottolineando che «è inaccettabile che Ben Gvir sia salito sulla Spianata delle moschee».

La telefonata di Meloni

Intanto, nell’ambito del continuo lavoro diplomatico dei governi internazionali, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha avuto ieri una conversazione telefonica con Netanyahu. Meloni ha reiterato il forte auspicio che si possa trovare un accordo per un cessate il fuoco sostenibile a Gaza e il rilascio degli ostaggi, in linea con la Risoluzione 2735 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni unite, e ha ribadito il convinto sostegno alla mediazione guidata da Stati Uniti, Egitto e Qatar.

Nel riconoscere il diritto all’autodifesa di Israele, la premier ha sottolineato l’importanza di una de-escalation a livello regionale, incluso lungo il confine israelo-libanese dove è presente la forza di interposizione delle Nazioni unite, Unifl, in cui l’Italia gioca un ruolo di primo piano.

La decisione di Fitch

In attesa di capire quali saranno gli sviluppi sul campo, l’agenzia di rating statunitense Fitch ha abbassato il rating di Israele da A+ ad A, sostenendo che il conflitto contro Hamas a Gaza potrebbe durare «fino al 2025» e pesare sull’attività economica del paese.

«Il conflitto a Gaza potrebbe durare fino al 2025 e vi è il rischio che si estenda ad altri fronti», ha scritto l’agenzia in una nota. «Oltre alle perdite umane ciò potrebbe comportare una spesa militare aggiuntiva significativa, la distruzione delle infrastrutture e danni più sostenuti all’attività economica e agli investimenti, portando a un ulteriore deterioramento del credito di Israele».

L’ufficio del primo ministro israeliano Netanyahu ha ribadito che l’economia è «solida e funziona bene. L'abbassamento del rating è una conseguenza del fatto che Israele sta affrontando una guerra su molteplici fronti che gli è stata imposta. Il rating salirà di nuovo quando vinceremo, e vinceremo davvero».

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