Con la scelta di sciogliere le camere Macron sperava di recuperare consensi e approfittare della disorganizzazione dei suoi avversari. Ma la sua scelta sembra sortire l’effetto contrario, semplificando l’offerta politica. Tra una destra fortissima e una sinistra riorganizzata quello che probabilmente finirà per soccombere è il progetto centrista del presidente
Domenica sera, pochi minuti dopo la chiusura dei seggi e la prevista vittoria del Rassemblement national (Rn), il partito di Marine Le Pen e del suo giovane delfino Jordan Bardella, Emmanuel Macron ha sciolto l’Assemblea nazionale e indetto nuove elezioni da tenersi il 30 giugno e il 7 luglio.
Questa mossa, inaspettata, ha provocato un terremoto politico. Qualche giorno fa un commentatore su Twitter/X ironizzava dicendo di non voler andare a dormire per timore di perdersi durante la notte «gli ultimi trenta anni di politica francese».
Le Pen non è più un Ufo
Iniziamo dal voto di domenica, che ha visto il Rassemblement national trionfare con il doppio dei voti (31,5 per cento) del partito di Macron. Quello che emerge con chiarezza da un interessante sondaggio dell’istituto Ipsos è che il Rn è ormai un partito radicato nel territorio, in tutte le categorie socioprofessionali e in tutte le classi di età. Certo, continua a fare il pieno tra impiegati e operai (in particolare tra questi ultimi è al 53 per cento), ma ormai lo votano in percentuali significative anche quadri e professioni intermedie.
Allo stesso modo, il partito di Le Pen oggi pesca tra tutte le classi di età eccetto che tra i giovanissimi (18-24 anni) che, forse a causa della loro sensibilità sulla tragedia di Gaza, hanno votato soprattutto per la sinistra radicale.
Altrettanto rivelatrice è la sociologia elettorale di Renaissance, il partito del presidente, votato principalmente dai pensionati e ai minimi termini tra i giovani (paradosso per il presidente più giovane della storia). Il presidente tecnocrate è in caduta libera anche tra i quadri, che gli preferiscono il Rn e l’alleanza tra il Partito socialista e il movimento del filosofo Raphaël Glucksmann.
La sinistra in generale non fa male. È arrivata divisa al voto, i Verdi sono crollati a favore dei socialisti e la sinistra radicale paga le intemperanze del suo leader Jean-Luc Mélenchon. Ma nel complesso la somma dei suffragi ai partiti di sinistra è equivalente al voto per il Rn.
Il coup de théâtre di Macron
L’annuncio delle elezioni anticipate è troppo tempestivo per non essere stato preparato già da prima; ma è comunque stato deciso da Macron in solitudine. Ha colpito, ad esempio, la sorpresa (e la contrarietà) del primo ministro Gabriel Attal. Il presidente sconfessato dai francesi ha provato a sparigliare per tirarsi fuori dall’angolo.
In primo luogo, Macron ha tentato di giocare d’anticipo, visto che con ogni probabilità il governo Attal (che, ricordiamolo, non ha una maggioranza parlamentare) sarebbe caduto sulla legge di bilancio, portando a elezioni in autunno. Andare precipitosamente al voto ha probabilmente lo scopo di impedire agli avversari, in particolare a sinistra, di organizzarsi; come nel 2022, quando sia pure impopolare è riuscito a farsi rieleggere, Macron emergerebbe come l’unico bastione contro la destra.
Se questo non bastasse, le elezioni anticipate forzerebbero il Rn a sporcarsi le mani con la pratica del governo, usurandosi in vista della presidenziale del 2027 che tornerebbe quindi ad essere contendibile.
Inoltre, contrariamente alle elezioni europee che, come in Italia, premiano il voto d’opinione, le politiche sono a due turni; di fronte alla prospettiva realista di un governo della destra estrema, si potrebbe avere una riedizione del “fronte repubblicano” che in passato ha sbarrato la strada a Le Pen.
Come andrà a finire?
Certamente non è scontato che il risultato delle europee si traduca per il Rn in voti (e soprattutto seggi) sufficienti per avere una maggioranza solida. Ma chi scrive è più pessimista sul successo della scommessa di Macron. L’annuncio di domenica sembra piuttosto aver avviato un processo che porterebbe alla scomparsa del suo partito (ne parlava Marc Lazar su queste pagine venerdì) Le previsioni sono fatte per essere smentite, ma oggi lo scenario più probabile è quello di un parlamento a maggioranza di estrema destra con un’opposizione di sinistra consistente e un centro ridotto ai minimi termini.
Infatti, i tempi stretti hanno ottenuto l’effetto contrario di quello sperato da Macron costringendo la litigiosissima sinistra a non impelagarsi in estenuanti trattative e a partorire in pochi giorni una lista di candidati condivisa e un programma di compromesso fortemente progressista.
Insomma, se fronte repubblicano contro la destra ci sarà, sarà con tutta probabilità imperniato su questo “Nuovo Fronte Popolare” che cerca di richiamarsi alla fausta (ma breve) esperienza del 1936. Che piaccia o no ai moderati e ai liberali orfani di Macron, solo questo potrà impedire la marea nera e la maggioranza assoluta del partito di Le Pen. Non è peraltro detto che il fronte repubblicano ci sia. Primo per il radicamento nel territorio e nella società del Rn. Poi, per il progressivo spostamento a destra che oggi rende il centro moderato molto più affine al Rn che alla sinistra.
La fine del centrismo
L’accelerazione impressa da Macron ha anche fatto precipitare la situazione a destra dove il partito dei Repubblicani erede dei gollisti di Jacques Chirac e Nicolas Sarkozy, già fortemente ridimensionato e scivolato molto a destra, si è lacerato sulla possibilità di un’alleanza formale con il Rn, tra asserragliamenti nella sede del partito ed esposti in tribunale. L’implosione della destra porterà forse qualche voto a Macron, ma molti loro elettori finiranno con ogni probabilità per votare Rn.
È plausibile quindi che, viste le convulsioni della destra e l’unione della sinistra, la grande maggioranza dei ballottaggi del 7 luglio siano tra Rn e il Fronte Popolare, con il partito di Macron presente in una manciata di duelli. Si avrà quindi il paradosso di un presidente che si era fatto eleggere per eliminare gli estremi e che probabilmente riuscirà a far rinascere il bipolarismo facendo sparire il centro e portando l’estrema destra alle porte del potere. Anche nei circoli moderati, ormai, si dibatte sulla posizione del giovane-vecchio Macron nella classifica dei peggiori presidenti della storia.
La fine del motore francese
Comunque vada, per l’Europa sono cattive notizie. L’estrema destra francese resta fondamentalmente euroscettica e la svolta “moderata” di Meloni non deve far sperare in una posizione morbida di un Rn di governo: i vincoli europei sono meno forti per la Francia che potrà con più facilità di noi battere i pugni sul tavolo.
Per quel che riguarda la sinistra, nel comunque improbabile caso in cui abbia voce in capitolo, è probabile che sull’Europa adotti un approccio molto minimalista, essendo questo proprio uno dei fattori di divisione tra le sue componenti. Fin dal 2017 sull’Europa Macron ha parlato molto e agito poco (si pensi all’assenza francese dal dibattito sulla riforma del Patto di stabilità). Ma pur non essendo motore europeo, la Francia non è certamente stata un fardello. Le cose cambieranno dal 7 luglio, e anche questa sarà una macchia sul bilancio di Emmanuel Macron.
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