- I semiconduttori rappresentano la forza trainante degli algoritmi di intelligenza artificiale, e se gli Stati Uniti hanno storicamente goduto di privilegi significativi nei regni della produzione, distribuzione e innovazione, la Repubblica popolare cinese ha recentemente rafforzato i propri processi interni.
- Se la Seconda guerra mondiale è stata decisa dall’acciaio e dall’alluminio e la Guerra fredda dallo spauracchio dell’uso dalle armi atomiche, la prossima riguarderà la potenza di calcolo.
- Nel suo discorso sullo stato dell’Unione del 2021, Ursula Von Der Leyen ha solennemente affermato che non esiste digitale senza chip. Il testo fa parte del nuovo numero di Scenari: “La guerra invisibile dei chip”, in edicola e in digitale dal 25 novembre.
La trama invisibile della nostra epoca, come ha notato acutamente Alessandro Aresu nel suo recentissimo Il dominio del XXI secolo, è caratterizzata in maniera molto forte dalla supply chain dei semiconduttori, alla base di quei chip che oramai sono divenuti gli oggetti del contendere nella guerra economica che Stati Uniti e Cina stanno conducendo oramai da alcuni anni.
I semiconduttori rappresentano, infatti, la forza trainante degli algoritmi di intelligenza artificiale, e se gli Stati Uniti hanno storicamente goduto di privilegi significativi nei regni della produzione, distribuzione e innovazione, la Repubblica popolare cinese ha recentemente rafforzato i propri processi interni segnando un aumento della produzione nazionale.
Una simile concorrenza, accompagnata dai problemi nella catena di fornitura globale verificatisi nell’ultimo anno, ha evidenziato la necessità per gli Stati Uniti di riconsiderare i processi domestici ed esteri in materia. Presenti in molti prodotti elettronici di uso quotidiano, come smartphone, computer e automobili, i chip si ritrovano altresì in settori cruciali quali la difesa e la sicurezza, tra cui i sistemi di armamento e la tecnologia aerospaziale.
Catene del valore
Che la sfida per i semiconduttori abbia assunto i connotati della guerra economica, è stato ampiamente descritto da Chris Miller, professore alla Fletcher School of law and diplomacy della Tufts University e autore del recentissimo Chip war: the fight for the world’s most critical technology, in cui descrive una realtà nella quale il potere di produrre chip all’avanguardia sia nelle mani di sole cinque società: tre statunitensi, una giapponese e una olandese.
Se la Seconda guerra mondiale è stata decisa dall’acciaio e dall’alluminio e la Guerra fredda dallo spauracchio dell’uso dalle armi atomiche, la prossima riguarderà la potenza di calcolo. Del resto, la National security strategy licenziata dall’amministrazione Biden a ottobre 2022, ha riconosciuto chiaramente l’importanza della catena di fornitura dei semiconduttori come base per la competitività e la sicurezza nazionale, tanto da accelerare nel settore con il Chips and Science Act, provvedimento che autorizza a investire 280 miliardi di dollari in ricerca e sviluppo nei settori critici dei semiconduttori e del calcolo avanzato.
Da questo punto di vista gli Stati Uniti intendono promuovere un coordinamento transatlantico, che includa l’Unione europea nelle catene di approvvigionamento di semiconduttori e minerali critici, rafforzando la cooperazione in questa materia. Anche per tali ragioni fornitori come Tsmc (Taiwan semiconductor manufacturing company), rappresentano il pilastro del settore dei semiconduttori soprattutto poiché conservano un significativo vantaggio tecnologico e di scala sulla Cina.
Nel 2020 il gigante taiwanese ha avviato infatti la produzione di massa di chip a cinque nanometri mentre la concorrente Smic (Semiconductor manufacturing international corporation) è ancora ferma ai chip a quattordici nanometri. L’isola sospesa, per utilizzare la felice espressione di un recente volume di Stefano Pelaggi, diviene da questo punto di vista ancor più strategica nelle catene del valore statunitensi, basti pensare agli ingenti contributi alla produzione dei preziosi wafer di silicio che escono dalle fonderie di Tsmc.
Garantire forniture e produzione è divenuto un aspetto fondamentale già prima della pandemia, allorché il mercato mondiale dei chip presentava dei fenomeni di tensione seguita alla crescente domanda cinese generata dal blocco imposto da Trump nel 2019 alla vendita di tecnologia statunitense a Huawei. Le manovre di stimoli fiscali implementate dai vari governi per far fronte alla pandemia hanno fatto il resto, provocando una vera e propria crisi avvertita in vari settori industriali, dall’elettronica all’automotive.
L’Ue nella sfida dei chip
Oggi i principali mercati di consumo per i semiconduttori sono l’informatica (computer e server) e le telecomunicazioni (smartphone), che nel 2021 avevano un valore rispettivamente di 225 e 170 miliardi di dollari, quasi 2/3 del mercato globale dei semiconduttori. Le proiezioni per il 2030 prevedono che questi due mercati varranno rispettivamente 350 e 280 miliardi di dollari.
Allo stesso modo, le previsioni sulle dimensioni del mercato globale dei semiconduttori prevedono un aumento di quasi il 60 per cento nel 2030 rispetto al 2021. Come è stato rilevato da Le Grand Continent, la specializzazione dell’industria europea dei semiconduttori è strettamente legata alle specificità dell’industria continentale. I produttori, STMicroelectronics, NXP e Infineon, sono in larga misura importanti produttori di chip analogici, che soddisfano le esigenze delle industrie europee (automobili, sensori per macchine utensili, ecc.). Infatti, in assenza di un’industria delle apparecchiature di information technology (computer, server, smartphone), la domanda di processori o chip di memoria rimane limitata. Si può quindi osservare come la percentuale di investimenti europei nei settori della robotica (28 per cento), dell’automotive (30 per cento) e dell’aerospaziale (14 per cento) sia molto più alta rispetto al resto del mondo. Al contrario l’Europa è in ritardo in termini di investimenti nelle telecomunicazioni (4,8 per cento) e nei computer (7 per cento).
Nel suo discorso sullo stato dell’Unione del 2021, Ursula Von Der Leyen ha solennemente affermato che non esiste digitale senza chip, constatando amaramente che mentre la domanda globale nel settore esplodeva, la quota dell’Europa nell’intera catena del valore, dalla progettazione alla capacità produttiva, si riduceva, facendo dipendere l’Ue da chip all’avanguardia fabbricati in Asia.
In questi termini, quindi, non esiste solo una questione di competitività, ma una di sovranità tecnologica in cui il terreno da recuperare per l’Europa rappresenta un obiettivo sfidante dei prossimi anni. Anche per questo la Commissione europea, insieme agli stati membri, ha avviato una consultazione sulla filiera dei semiconduttori conclusasi l’11 novembre scorso. Si è trattato sostanzialmente di due sondaggi, uno per i fornitori e l’altro per gli utilizzatori finali di semiconduttori attraverso cui le autorità analizzeranno ed elaboreranno i risultati ottenuti, collaborando con il gruppo europeo di esperti sui semiconduttori (Eseg) al fine di proporre una via da seguire per il meccanismo di monitoraggio che includerà l’identificazione di potenziali indicatori di allerta precoce, appropriati nell’anticipare future carenze nella catena di approvvigionamento dei chip e prevenire nuove crisi.
Il ruolo dell’Italia
In questo contesto anche l’Italia può ritagliarsi un ruolo importante. STMicroelectronics investirà 730 milioni di euro per costruire un impianto di materiali per chip in Italia, il primo del suo genere in Europa, così da dare un maggior impulso all’industria continentale mentre cerca di creare una catena di approvvigionamento più autosufficiente e che sia in grado di alleviare alle eventuali carenze.
In una simile direzione la Commissione ha approvato, ai sensi delle norme sugli aiuti di stato, una misura italiana di 292,5 milioni di euro messa a disposizione attraverso il Recovery and resilience facility proprio per sostenere la costruzione dell’impianto siciliano di STMicroelectronics, così da rafforzare la resilienza e la sovranità digitale europea nelle tecnologie dei semiconduttori, in linea peraltro con le ambizioni stabilite dallo European Chips Act; allo stesso modo Intel, il più grande produttore di chip degli Stati Uniti, ha annunciato la propria intenzione di destinare futuri investimenti in Irlanda, Italia e Germania. La struttura da realizzare a Vigasio, in Veneto, utilizzerebbe nuove tecnologie per assemblare chip interi dai wafer e poter così disporre di un impianto di produzione all’avanguardia.
Resta comunque essenziale per un rilancio dell’Ue come attore globale la capacità delle istituzioni di operare un filtro sugli investimenti esteri che realmente convengono alla realizzazione del decennio digitale europeo.
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