La visita questa settimana a Teheran del capo del Consiglio di Sicurezza nazionale russo, Sergei Shoigu, è stata l’occasione per l’Iran per pressare la Russia sull’invio di aiuti militari, nei giorni in cui il paese si prepara a sferrare l’attesa rappresaglia nei confronti di Israele.

Si tratterebbe per lo più di sistemi di difesa antiaerea, dei cosiddetti jamming system – o i sistemi che accecano i radar o i sistemi di orientamento dei missili – di radar e di jet da combattimento Sukhoi Su-35. Non si tratta, quindi, di armamenti di attacco, anche perché l’Iran non riuscirebbe a utilizzare neppure i jet in questione fuori dal proprio spazio aereo perché non è dotato di ulteriori sistemi necessari per il loro combattimento fuori dai propri confini.

Capacità difensive

Aiuti russi di questo tipo non aumenterebbero le capacità di attacco della Repubblica islamica, ma la aiuterebbero a difendersi con più efficacia nel caso in cui alla sua rappresaglia per l’uccisione del capo politico di Hamas Ismail Haniyeh, il 31 luglio a Teheran, seguisse un contrattacco israeliano.

Lo stesso varrebbe per gli alleati dell’Iran, gli Hezbollah libanesi e gli Houthi yemeniti, in primis, che pur ottenendo tecnologie russe dall’Iran non vedrebbero le proprie capacità di attacco accresciute.

«Io sono a favore delle esportazioni di armi russe all’Iran. Aiutano a bilanciare le forze, prevenendo l’eccessiva sicurezza in sé stessi dell’esercito israeliano (Idf). Questa è una cosa buona per la stabilità regionale» spiega a Domani Abdolrasool Divsallar, professore specializzato in temi di sicurezza internazionale dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.

Fonti iraniane avrebbero riferito a media internazionali che la Russia potrebbe avere già iniziato a consegnare parte di questi armamenti. Alcune indiscrezioni hanno fatto riferimento ad almeno un aereo cargo russo atterrato in Iran negli ultimi giorni.

La cooperazione militare tra Russia e Repubblica islamica non è cosa nuova, ma molti analisti sottolineano come si sia notevolmente intensificata dall’inizio della guerra in Ucraina nel febbraio del 2022, considerandola un grave fattore di rischio geopolitico per l’Occidente e per Israele.

Legame storico

Storicamente, nella relazione tra i due paesi, l’Iran è stato il cliente e la Russia il fornitore, ma la relazione si è ribilanciata, con importanti forniture militari iraniane alla Russia sia di armamenti per combattimenti aerei che di terra utilizzati in Ucraina.

«Entrambi i Paesi hanno identificato necessità per contingenze militari future su cui si possono aiutare, anche se l’Iran continuerà a essere più dipendente dalla Russia per tecnologie avanzate che viceversa» hanno scritto gli studiosi Hanna Notte del Center for Strategic and International Studies e Jim Lamson del Middlebury Institute of International Studies in un recente articolo.

«Strumenti tradizionali come le pressioni diplomatiche o le sanzioni saranno poco efficaci nel tenere sotto controllo questa cooperazione fino a quando sia l’Iran, sia la Russia considereranno Washington e i suoi alleati come i loro principali avversari».

Gli Stati Uniti e L’Europa hanno espresso, negli ultimi giorni, la propria preoccupazione per il coinvolgimento crescente della Russia in Medio Oriente, non solo per la cooperazione di Mosca con l’Iran, ma anche per l’assistenza fornita agli Houthi. Preoccupazione, espressa anche ad Israele, che, stando ai media israeliani, concorda con i suoi principali alleati sul fatto che la Russia stia cercando di sfruttare le tensioni in Medio Oriente per ritagliarsi un ruolo maggiore nella zona, aiutando l’Iran e gli altri nemici di Israele nel conflitto col Paese ebraico.

Secondo Notte e Lamson, oltre alla capacità difensive, l’Iran vuole migliorare le proprie capacità di attacco a lungo raggio e potrebbe chiedere assistenza ai russi su alcuni armamenti, come i missili balistici e da crociera, droni e anche bombe plananti.

Tali necessità sono state rese ancora più evidenti dalla «performance poco brillante» dell’attacco su larga scala contro Israele di aprile scorso.

«La cosa migliore che gli Stati Uniti e i suoi partner possono fare è di far sì che questa cooperazione si interrompa e che non si materializzi sulle aree più sensibili» concludono Notte e Lamson.

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