Lo scontro in stile mixed martial arts tra Elon Musk e Mark Zuckerberg, che si sarebbe dovuto tenere al Colosseo sul finire dell’anno passato, alla fine non si è fatto. Per molti versi, è meglio così: i due miliardari ci hanno risparmiato un avvenimento che sarebbe stato sicuramente più imbarazzante che appassionante.

Allo stesso tempo, il match tra due dei tre uomini più ricchi del mondo (260 miliardi di dollari di patrimonio per Musk e 200 miliardi per Zuckerberg) avrebbe però rappresentato l’apice di un’annosa rivalità: caratterizzata da gelosie, concorrenza commerciale e ambizioni forse più simili di quanto potrebbe a prima vista sembrare. Una rivalità che, ormai da parecchio tempo, ha anche delle caratteristiche politiche e che, a causa dello spropositato potere mediatico-informativo dei due, sta influenzando in modo non trascurabile la corsa alla Casa Bianca.

Se oggi è Elon Musk a occupare un importante ruolo politico – comparendo addirittura al fianco di Donald Trump nel corso del suo ultimo comizio in Pennsylvania – e ad ambire a una posizione in un futuro gabinetto del candidato repubblicano, fino a qualche anno fa era invece Zuckerberg a coltivare delle malcelate ambizioni politiche, imbarcandosi, nel corso del 2017, in una sorta di tour per gli Stati Uniti che, secondo parecchi analisti, aveva anche lo scopo di sondare il suo gradimento in vista di una possibile candidatura.

Le presunte ambizioni politiche di Zuckerberg vennero però stroncate dallo scandalo Cambridge Analytica, che emerse definitivamente nel 2018 mostrando come, due anni prima, Facebook fosse stato scientificamente sfruttato per favorire la campagna elettorale di Donald Trump e quella referendaria della Brexit. Per Mark Zuckerberg, questo scandalo ha rappresentato un momento di svolta cruciale, intersecandosi però alla perfezione con il percorso politico che, nel frattempo, Elon Musk stava iniziando a intraprendere.

Mentre il fondatore di Meta abbandonava gradualmente i suoi sogni politici e iniziava invece a immaginare un futuro a forma di metaverso (poi rivelatosi un colossale flop), Musk sembrava invece sempre più disinteressato ai suoi futuribili progetti (a base di colonizzazioni marziane) e progressivamente preso da terrene questioni politiche.

La discesa in campo

Da sempre considerato progressista ed ex sostenitore sia di Barack Obama, sia Hillary Clinton, sia della prima candidatura di Joe Biden, già nei primi anni di questo decennio Musk inizia a essere ossessionato da quello che definisce il “virus woke” e dalla presunta “dittatura del politicamente corretto” (probabilmente anche in seguito ai dissidi con la figlia transgender, che lo ha ripudiato). Musk si sposta rapidamente a destra e diventa in poco tempo uno degli idoli della alt-right statunitense (e non solo, come dimostra il suo rapporto con Giorgia Meloni e i continui plausi ricevuti da Matteo Salvini).

E così, mentre Zuckerberg si allontana dalla politica, Musk diventa il più noto sostenitore di Donald Trump. Per assurdo, è proprio in questa fase divergente che i due rivali concorrono alla svolta politica della Silicon Valley, che da storica culla progressista inizia a cedere allo zeitgeist di destra che imperversa un po’ ovunque. Nel 2022, Elon Musk completa l’acquisizione di Twitter, lo ribattezza X e soprattutto lo trasforma in uno strumento di propaganda suo e dei suoi sodali di estrema destra (riammettendo anche Donald Trump, messo al bando dopo gli eventi del 6 gennaio 2021).

Passano pochi mesi e Zuckerberg – seguendo per sua stessa ammissione la scia di Musk – fa ciò che da tempo i repubblicani sognavano: riduce la moderazione dei contenuti sui suoi social e fa sapere che Meta adotterà di nuovo un approccio orientato al laissez-faire, allargando la maglia dei controlli e arrivando addirittura – nell’agosto di quest’anno – a inviare una lettera al Congresso in cui denuncia le pressioni ricevute dall’amministrazione Biden nel periodo del Covid.

Per evitare che questa svolta nella gestione dei contenuti trasformi nuovamente Facebook (e in misura minore Instagram) in un’accozzaglia di contenuti estremisti e complottisti, Zuckerberg decide contestualmente di ridurre drasticamente la visibilità dei contenuti politici sui suoi social, dando priorità a intrattenimento, sport e altre tematiche innocue.

La tregua armata

E così, anche l’evento che aveva definitivamente infiammato la rivalità con Elon Musk – il varo da parte di Meta, nel luglio 2023, di Threads: un clone di Twitter che ambiva ad approfittare delle difficoltà di quest’ultimo – si trasforma in realtà in un assist per il rivale. Threads rinuncia infatti completamente, per sua esplicita policy, a dare visibilità ai contenuti di natura politica, abdicando così anche alla possibilità di prendere il posto dell’ex Twitter come arena politica online per eccellenza.

Una decisione che lascia campo libero a Elon Musk, a cui – è sempre più evidente – la débâcle economica della sua operazione social non interessa affatto, visto che il vero obiettivo è sfruttare X per esercitare la sua influenza politica. Per i repubblicani, le cose non potevano andare in maniera migliore: dove un tempo Facebook e Twitter erano costantemente accusati di favorire politicamente i democratici (censurando soprattutto post ascrivibili alla destra), oggi ci sono invece, da una parte, i social di Zuckerberg, che hanno rinunciato a svolgere un qualsivoglia ruolo politico, e, dall’altra, il social di Elon Musk: un potentissimo megafono completamente asservito a Donald Trump e alla propaganda di destra.

Il cerchio, infine, si è chiuso: due traiettorie partite lontanissime e con obiettivi che non potevano essere più diversi (per Zuckerberg, progettare reti sociali digitali; per Musk, costruire auto elettriche e astronavi) e che si sono intersecate e scontrate più volte, hanno portato a una tregua armata e, almeno per il momento, a una forma di convivenza. In tutto ciò, la vecchia idea che i social network fossero intrinsecamente una forza positiva, a livello politico e informativo, è stata sepolta ancor più in profondità.

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