Mentre continua l’esodo degli armeni che stanno lasciando il Nagorno-Karabakh, l’esplosione di un deposito di carburante vicino alla città di Stepanakert ha ucciso 20 persone e ha causato almeno 300 feriti. La dinamica non è ancora stata chiarita.

L’esplosione, nella serata di lunedì, è andata ad aggiungere ulteriore pressione sugli ospedali: non ci sono più posti letto liberi, e lo stesso materiale medico è terminato. «Avremmo bisogno di far evacuare i nostri pazienti nei reparti specializzati per le ustioni a Erevan», ha detto in un video una rappresentante dell’ospedale di Stepanakert alla giornalista freelance Siranush Sargsyan, che sta raccontando su X (il vecchio Twitter) la situazione passo a passo. In un altro video, numerosi ustionati aspettano sdraiati sulle sedie nei corridoi.

Le vittime erano in fila al deposito, si ipotizza, per rifornirsi di benzina prima di mettersi in viaggio verso il confine armeno. Il carburante infatti al momento scarseggia: da dicembre l’enclave era rimasta isolata, con la chiusura del corridoio Lachin che era l’unica via di collegamento con l’Armenia e che permetteva i rifornimenti di alimentari, farmaci, energia elettrica. L’attacco azero del 19 settembre ha avuto come obiettivo una regione già sfiancata dalla difficoltà degli approvvigionamenti. La stessa Sargsyan dal suo profilo ha richiamato l’attenzione sulla mancanza di cibo: «Le persone stanno morendo di fame».

L’esodo

Il governo armeno ha definito l’azione dell’Azerbaigian come un tentativo di «pulizia etnica», e adesso sono migliaia gli armeni che hanno lasciato le loro case per ricongiungersi con le famiglie oltre il confine, dopo che l’operazione militare di Baku ha ottenuto la resa delle forze separatiste armene che dagli anni Novanta governavano di fatto una porzione del Nagorno-Karabakh.

I negoziati si sono mossi nella direzione di una «reintegrazione» della regione nell’Azerbaigian, e anche se il governo azero ha assicurato che i diritti della popolazione armena sul territorio (circa 120mila persone) saranno rispettati, gli abitanti temono per la loro sopravvivenza: secondo la Bbc da quando si è decisa la tregua e i separatisti hanno consegnato le armi è stata permessa solo una consegna di alimentari da 70 tonnellate.

Almeno 13.350 persone sarebbero ora rifugiate in Armenia, hanno detto le autorità di Erevan. Le forze di pace russe, che dal 2020 sono nel Nagorno-Karabakh, starebbero aiutando l’esodo. Il contingente aveva mediato il cessate il fuoco dopo l’attacco del 19 settembre, mentre il governo armeno ha accusato Mosca di non aver fermato prima l’Azerbaigian.

Tra Stati Uniti e Russia

Tra il governo armeno e Mosca infatti si sta svolgendo tutta un’altra conversazione: negli ultimi mesi una serie di azioni del premier Nikol Pashinyan, tra cui delle esercitazioni militari congiunte con gli Stati Uniti, avevano infastidito la Russia, che adesso avrebbe consegnato gli armeni al loro storico nemico azero.

Nelle ore che hanno preceduto l’esplosione, due funzionari statunitensi inviati da Biden sono arrivati nella capitale dell’Armenia. Mossa che non è sfuggita. L’ambasciatore russo negli Stati Uniti, Anatoly Antonov, dal canale Telegram dell’ambasciata ha incoraggiato Washington, come riporta la Tass, «ad astenersi da quelle parole e azioni estremamente pericolose che portano a un aumento dei sentimenti anti-russi in Armenia».

Tentativi di mediazione

Il Consiglio europeo intanto ha cercato un’altra via diplomatica: ieri ha ospitato a Bruxelles un incontro tra i consiglieri della sicurezza di Armenia, Azerbaigian, Francia e Germania, per preparare il terreno per un eventuale incontro tra i capi dei due paesi al vertice della Comunità politica europea che si terrà a Granada il 5 ottobre.

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