Il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, dopo il durissimo scontro con i generali dell’esercito che hanno deciso di istituire una «pausa umanitaria» di 11 ore al giorno nel sud della Striscia di Gaza per facilitare la consegna di aiuti di prima necessità alle migliaia di profughi palestinesi dispersi senza sostegni nella Striscia, ha sciolto il gabinetto di guerra. Il gruppo ristretto era stato creato l’11 ottobre per gestire le campagne contro Hamas ed Hezbollah.

Il presidente del Partito di unità nazionale Benny Gantz, uno dei tre membri del gabinetto, in risalita rispetto al premier negli ultimi sondaggi, ha abbandonato la coalizione la scorsa settimana tra le polemiche, portando con sé Gadi Eisenkot, uno dei tre osservatori.

La formazione di un gabinetto di guerra ristretto era stata la richiesta fondamentale proprio da parte dell’ex generale Gantz per unirsi al governo di Netanyahu, così da poter discutere e partecipare alle scelte strategiche del conflitto e del dopo guerra. Dopo la sua polemica uscita, accompagnata dalle richieste di elezioni anticipate, restavano solo Netanyahu, il ministro della Difesa Yoav Gallant, il ministro per gli Affari strategici Ron Dermer.

Coprirsi a destra

Una prima interpretazione della decisione è che, senza Gantz – e senza Eisenkot, che si è dimesso – al suo interno, non aveva più senso mantenere in vita il gabinetto di guerra.

Così, non avendo più principale ragion d’essere, è stato smantellato, ha spiegato un funzionario dell’ufficio del premier. Una seconda interpretazione ritiene la decisione come una mossa per bloccare le pressioni del ministro per la Sicurezza nazionale e leader di estrema destra Itamar Ben-Gvir e di quello delle Finanze, Bezalel Smotrich, di entrare a farne parte per avere un ruolo maggiore nelle decisioni belliche.

Netanyahu continuerà a tenere riunioni limitate a scopo di “consultazione”, che si sono già svolte alla presenza dei ministri Yoav Gallant e Ron Dermer. Secondo Yedioth Ahronoth, i leader dell’estrema destra e ministri del governo Ben-Gvir e Bezalel Smotrich saranno esclusi da queste consultazioni per evitare di irritare ulteriormente l’alleato americano già molto spazientito dai continui balletti del governo.

Ciò che appare evidente è la concentrazione del potere decisionale nelle mani del premier.

L’inviato Usa

Intanto, ieri in Israele è giunto un alto consigliere di Joe Biden per una serie di incontri con l’esecutivo e alti esponenti libanesi volti a scongiurare un’ulteriore escalation tra Israele ed Hezbollah.

Secondo una fonte statunitense citata dal Times of Israel, Amos Hochstein porterà avanti gli sforzi per evitare che la tensione lungo la “Linea Blu” tra Israele e Libano allarghi il conflitto che già insanguina da otto mesi la Striscia di Gaza.

Inoltre l’inviato di Biden cercherà di favorire l’accettazione del piano della Casa Bianca. Secondo un sondaggio condotto dal Jewish People Policy Institute, il 60 per cento degli israeliani è favorevole al piano per gli ostaggi e il cessate il fuoco secondo la road map predisposta dal presidente americano Joe Biden e approvata dal Consiglio di sicurezza dell’Onu ma che Hamas finora non ha ancora accettato perché chiede la fine del conflitto in modo permanente, il ritiro delle truppe israeliane da Gaza e la possibilità dei profughi di ritornare alle loro case.

Operazioni a Rafah

Cinque persone sono morte e altre 13 sono rimaste ferite in seguito a un bombardamento israeliano che nella notte tra domenica e lunedì ha colpito una casa della città di Gaza.

Altre due vittime domenica sera a Rafah, nel sud della Striscia. Lo riferisce l’agenzia di stampa palestinese Wafa. Un edificio residenziale è stato colpito nel quartiere di Zarqa, dopo che un altro raid aveva centrato una casa nella zona di Sheikh Radwan. Altre due vittime si contano a Rafah, nel sud della Striscia. L’esercito israeliano ha dichiarato che metà delle forze di Hamas a Rafah sono state neutralizzate e almeno 550 miliziani sono stati uccisi. Nelle operazioni sarebbero stati distrutti 200 tunnel, e diversi depositi missilistici sono stati occupati.

Prosegue nel frattempo lo stallo sui negoziati per la tregua e per liberare gli ostaggi, mentre cresce il malcontento nelle piazze, dove è prevista una settimana di proteste con manifestazioni in tutto il paese per chiedere che si vada al voto anticipato come chiesto, fra l’altro, da Gantz.

Intanto il bilancio nell’enclave palestinese dal 7 ottobre scorso è di almeno 37.347 morti e 85.372 feriti, secondo i dati del ministero della Sanità locale gestito dal movimento islamista Hamas. Sperando che non si apra un altro fronte di guerra sulla frontiera del Libano.

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