È l’ultima chiamata per trovare un’intesa su Gaza. L’accorato appello viene dal tessitore principale di questi dieci mesi di conflitto, il segretario di Stato americano, Antony Blinken, al suo decimo viaggio in Medio Oriente da quando sono iniziate le ostilità. Blinken, che ha riscoperto la “shuttle diplomacy” di altri tempi, ha incontrato per circa tre ore il primo ministro Benjamin Netanyahu. Il meeting, secondo l’ufficio del premier, «è stato positivo e si è svolto in una buona atmosfera» ma spesso le forme della diplomazia nascondono distanze profonde tra i due partner di cui non è dato sapere nei dettagli. Il presidente israeliano Herzog ha detto a Blinken che se fallisse l’accordo, la colpa sarebbe di Hamas.

Il premier israeliano ha sottolineato l'impegno di Tel Aviv nei confronti della proposta statunitense presentata a Doha la scorsa settimana e che «tiene conto delle esigenze di sicurezza di Israele». La proposta è stata però respinta da Hamas perché considerata troppo vicina alle esigenze di Tel Aviv che rivendica la necessità di mantenere il controllo dei corridoi al confine egiziano e di quello che separa in due la Striscia.

Nel corso della settimana i dialoghi dovrebbero proseguire al Cairo. Hamas ha certamente un interesse a far fallire le trattative, ma quello che sta andando in scena è un film già visto molte volte. La trama è sempre la stessa: i mediatori fanno trapelare che l’accordo è vicino, la Casa Bianca si dice ottimista, Israele continua a bombardare Gaza (e il Libano) e Hamas a quel punto ha buon gioco a rifiutare una trattativa che è sempre accompagnata dai missili sui civili. Che difficilmente possono essere il preludio a un accordo comprensivo per il cessate il fuoco. Al massimo si possono trovare compromessi su aspetti specifici.

Accordi sui dettagli

Durante i colloqui di medio livello tra funzionari israeliani, egiziani e statunitensi al Cairo, Israele ha accettato di ridurre progressivamente il numero di soldati schierati nel corridoio di Filadelfia (la striscia di 14 chilometri che separa Gaza dall'Egitto), mentre in cambio Il Cairo ha accettato di non stabilire un calendario per il loro ritiro completo, secondo il quotidiano libanese Al Akhbar. I funzionari egiziani hanno comunque insistito sul fatto che un ritiro completo dovrebbe essere effettuato il prima possibile.

L'Egitto ha inoltre chiesto ai negoziatori statunitensi di accelerare la consegna dell'equipaggiamento designato per proteggere la rotta di confine e si è impegnato a «lavorare per garantire che non ci siano tunnel operativi sotto di essa». Negli ultimi mesi, i negoziatori israeliani ed egiziani avrebbero discusso l'installazione di un sistema di sorveglianza elettronica ad alta tecnologia per impedire il contrabbando di armi attraverso il confine. Potrebbe essere una soluzione condivisa. Blinken ha poi incontrato il ministro della Difesa israeliano, Yoav Gallant, a Tel Aviv. La situazione è molto complessa e delicata ma la vicepresidente degli Stati Uniti, Kamala Harris ha dichiarato di nutrire ancora la speranza per un accordo di cessate il fuoco. Ottimismo di facciata o c’è qualcosa di più?

L’attentato fallito

Ma mentre si discute di come trovare un accordo al Cairo nei colloqui per una tregua Hamas e la Jihad islamica hanno rivendicato l'attentato suicida a Tel Aviv in cui un palestinese arrivato da Nablus è rimasto ucciso dall'esplosione di un potente ordigno che portava in uno zaino sulle spalle. Lo riferisce Channel 12. In una dichiarazione, il gruppo islamista afferma che si è trattato di un attentato suicida e avverte che gli attentati suicidi in Israele continueranno, in risposta agli attacchi israeliani.

Tuttavia, i continui attacchi di Israele e le dichiarazioni contrastanti di Hamas e Israele sembrano aver ridotto le possibilità di una svolta e i mercati sono nervosi per questa prospettiva. L'oro infatti viaggia intorno ai 2.500 dollari l'oncia, attestandosi sui massimi storici, spinto dalla forte domanda di beni rifugio.

Operatori umanitari

L'Onu denuncia un record «inaccettabile» di violenze contro gli operatori umanitari: 280 sono stati uccisi in tutto il mondo nel 2023, un record alimentato dalla guerra a Gaza e che rischia di essere superato nel 2024. «La normalizzazione della violenza contro gli operatori umanitari e la mancanza di responsabilità sono inaccettabili, inconcepibili ed estremamente pericolose per le operazioni umanitarie ovunque», ha denunciato Joyce Msuya, capo ad interim dell'ufficio umanitario delle Nazioni Unite (Ocha), in occasione della Giornata umanitaria mondiale.

«Con 280 operatori umanitari uccisi in 33 paesi lo scorso anno, il 2023 è stato l'anno più mortale mai registrato per la comunità umanitaria internazionale», con un aumento del 137 per cento rispetto al 2022 (118 morti), sottolinea Ocha in un comunicato stampa, utilizzando i dati di il database sulla sicurezza degli operatori umanitari che risale al 1997.

Secondo questi dati, più della metà delle morti nel 2023 (163) sono operatori umanitari uccisi a Gaza durante i primi tre mesi della guerra tra Israele e Hamas, principalmente a causa di attacchi aerei. Se i 280 morti nel 2023 rappresentano già un numero «scandaloso», «il 2024 potrebbe essere sulla strada verso un risultato ancora più mortale», avverte l'Onu.

Secondo l'Aid Worker Security Database, tra il 1 gennaio e il 9 agosto 2024 sono stati uccisi 176 operatori umanitari (di cui 121 nei territori palestinesi), una cifra già superiore a quella della maggior parte degli anni interi precedenti (il record precedente era nel 2013 con 159 morti). Anche per queste cifre c’è da augurarsi che Blinken riesca quanto prima nella sua missione di pace.

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