Come in uno studiato passaggio di consegne, pochi minuti dopo il discorso di Benjamin Netanyahu all’Onu, l’aviazione israeliana colpiva con bombe anti-bunker a Beirut il quartier generale di Hezbollah per colpire il leader Nasrallah. Un segnale inequivocabile delle reali intenzioni di Tel Aviv dopo un discorso di sfida alla comunità internazionale del suo premier.

L’Onu ha reagito affermando che guarda con «grande allarme» ai raid israeliani a Beirut. In effetti il premier israeliano Benjamin Netanyahu, nel suo discorso all’Assemblea generale non ha moderato né i toni né lasciato spiragli al negoziato. Anzi, ha lanciato un durissimo attacco alle stesse Nazioni Unite, definendole una «palude antisemita» e una «società terrapiattista anti-israeliana». «Stare con Israele è in linea con i vostri valori», ha detto dal podio dell’Onu.

«Finché Israele non sarà trattato come le altre nazioni, finché questa palude antisemita non sarà prosciugata, l’Onu sarà vista dalle persone imparziali ovunque come niente più che una farsa sprezzante», ha detto facendo capire quanto poco tenga conto dell’istituzione internazionale in cui parlava. «I veri criminali di guerra non sono in Israele», ha detto il premier israeliano, in polemica con la Corte penale internazionale che ha emesso un mandato d’arresto nei suoi confronti e del suo ministro della Difesa con questa accusa.

L’Iran è il vero obiettivo

Poi il premier è passato ad elencare i nemici di Israele con particolare attenzione al ruolo dell’Iran. «Se ci attaccate, vi colpiremo», ha detto il premier nel suo discorso. «Teheran sta cercando di imporre il suo radicalismo ben oltre il Medio Oriente», ha aggiunto, precisando che «Israele è stato costretto a difendersi su sei fronti sostenuti dall’Iran». Qualche timido applauso e molte contestazioni hanno accolto l’arrivo del premier israeliano nella sala dell’Assemblea generale, abbandonata da molte delegazioni durante il suo intervento.

Netanyahu ha denunciato le «menzogne e calunnie» pronunciate contro il suo Paese tralasciando ad esempio di ricordare l’uccisione in Siria del console iraniano. «Il mio paese è in guerra, combatte per la sua sopravvivenza. Ma dopo aver sentito le bugie e le calunnie contro il mio paese da molti oratori su questo podio, ho deciso di venire e mettere le cose in chiaro», ha detto. Ma il discorso si è basato solo su nazionalismo e militarismo tralasciando ogni possibile appiglio al negoziato. «Combatteremo fino alla vittoria totale», ha aggiunto Netanyahu. «Finché Hezbollah sceglie la guerra, Israele non ha alternative».

Poi il premier politicamente più longevo di Israele ha assicurato che lo Stato ebraico continuerà gli attacchi in Libano «finché non raggiungeremo i nostri obiettivi», rinviando al mittente le richieste americane e francesi di una tregua di 21 giorni con Hezbollah. «Continueremo a indebolire Hezbollah», ha assicurato, definendoli la «quintessenza delle organizzazioni terroristiche».

Quanto a Gaza, ridotta a un cumulo di macerie e con 41mila morti, le parole sono state quelle che la destra messianica israeliana voleva sentire: «Hamas deve andarsene, se rimane al potere continuerà ad attaccare». Lo Stato ebraico «non vede alcun ruolo per Hamas in una Gaza dopo la guerra», ha aggiunto.

Nel suo intervento Netanyahu ha mostrato due mappe geografiche, spiegando che «la domanda davanti a noi è quale delle due disegnerà il futuro: il futuro dove l’Iran e suoi alleati diffonderanno il caos e la distruzione o quella in cui Israele e gli altri paesi vivranno in pace? Israele ha già fatto la sua scelta», ha detto. «Dobbiamo continuare il percorso che abbiamo lastricato con gli accordi di Abramo, ciò significa raggiungere uno storico accordo di pace tra Israele e Arabia Saudita», ha aggiunto Netanyahu sottolineando però che la delegazione di Riad non era in aula perché ha chiesto di predisporre un piano per la tregua a Gaza e per la costituzione di uno stato palestinese.

Bombe su Beirut

Dopo pochi minuti che Netanyahu aveva parlato all’Onu il portavoce dell’Idf Daniel Hagari dichiarava che il quartier generale centrale di Hezbollah, situato sotto un edificio residenziale nel quartiere Dahiya a Beirut, era stato colpito. Secondo il corrispondente dell’emittente americana Fox News l’obiettivo del nuovo attacco israeliano a Beirut era il leader di Hezbollah Hassan Nasrallah.

Intanto proseguono i raid anche in Siria, con un bilancio di 700 morti in Libano in quattro giorni di conflitto aperto. L’esercito israeliano ha spostato due brigate operative di riservisti nel nord del Paese, al confine con il Libano.

L’operazione avviene in un contesto in cui le stesse forze di difesa si dicono pronte ad entrare con le loro truppe in territorio libanese per distruggere le postazioni di Hezbollah.

E ieri il ministro degli Esteri italiano, Antonio Tajani, ha rinnovato l’appello ai connazionali ancora presenti in Libano a lasciare il Paese. «Seguo con preoccupazione l’evolversi della crisi in Medio Oriente in contatto costante con la nostra ambasciata a Beirut. Invito nuovamente tutti gli italiani a lasciare il Libano al più presto», ha scritto Tajani su X.

Gli sfollati in Libano

In Libano, secondo le Nazioni Unite, questa settimana sono oltre 90mila le persone che risultano sfollate, aggiungendosi alle oltre 111mila già sfollate a causa del conflitto. L’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati, Unhcr, ha affermato che negli ultimi giorni 30mila persone sono passate dal Libano alla Siria, l’80 per cento delle quali siriane.

Ben oltre un milione di siriani sono fuggiti in Libano durante la guerra civile siriana scoppiata nel 2011. Il segretario di Stato americano Antony Blinken ha detto che «un’ulteriore escalation renderebbe solo più difficile per i civili tornare a casa su entrambi i lati del confine». E la tregua sempre più lontana in vista delle elezioni americane del 5 novembre.

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