Europa e Usa si limitano a definire «inaccettabile» la devastazione di Gaza ma non fanno nulla per impedirla. La vicenda mediorientale è arrivata a un bivio che non permette più di nascondersi dietro una recita
Potremmo chiamarlo “inaccettabilismo”. Tecnica in uso presso i governi occidentali consistente nel dichiarare “inaccettabile” il comportamento di un Paese che non si vuole irritare, senza però minacciare conseguenze quando quel comportamento viene reiterato.
Condannare solo a parole
Obiettivo: acquisire visibilità, mostrarsi virtuosi, scansare rischi politici e accuse di cinismo, fingere protagonismo, coltivare l’illusione di poter svolgere un ruolo negoziale. Risultato concreto: l’inaccettabile diventa quel che può essere accettato, le linee rosse sbiadiscono, gli appelli a moderare gli eccessi diventano irrilevanti e chi li ripete è percepito come doppio, ambiguo, insincero.
L’esempio più eclatante: dall’inizio della guerra di Gaza gli occidentali ribadiscono che Israele ha il diritto di difendersi purché dentro i limiti dettati dal diritto internazionale. Ma quando corti di giustizia (Icc, Icj) hanno definito nel concreto le violazioni israeliane e le responsabilità di chi le ha commesse, europei e americani hanno preferito definire «inopportuni» quegli interventi, in modo da sottrarsi all’obbligo di trarne le conseguenze.
Così dopo un anno di predicazioni occidentali sugli «eccessi di difesa israeliani» i nomi di bambini sotto i 10 anni riempiono le prime 100 pagine dell’elenco dei palestinesi uccisi a Gaza.
Secondo la dichiarazione di 65 medici e paramedici pubblicata con grande evidenza dal New York Times, nella Striscia adesso operano cecchini che sparano in testa o al cuore dei bambini, e il numero dei colpiti è tale da far escludere l’azione isolata di un militare psicopatico.
Siano o no tecniche di “pulizia etnica”, secondo l’Unicef Gaza oggi è il posto più pericoloso al mondo per un minorenne. Ancora: secondo il Committee to Protect Journalists, molti tra i 123 operatori palestinesi dell’informazione uccisi a Gaza sono stati eliminati intenzionalmente, malgrado portassero la scritta “Press” sugli abiti o forse proprio in ragione di quello. Altissimo anche il numero di medici e paramedici uccisi.
Inaccettabile, come negarlo? Ma, detto questo, cosa fare, come reagire, quali strumenti di pressione o di coercizione mettere in campo? Ecco domande che gli europei in genere preferiscono evitare, non sapendo come rispondere. Così l’inaccettabilismo continua ad andare in scena, tanto stentoreo quanto inefficace, misura dell’evanescenza occidentale.
Da ultimo, Giorgia Meloni: «Inaccettabile» che Israele spari sui caschi blu in Libano. Ma se il giorno seguente, e quello successivo, e di fatto ogni mattina, l’esercito israeliano segnala con cannonate e fucilate che il contingente Onu deve togliersi dai piedi Roma e le altre capitali coinvolte prendono atto. Ovviamente ci si può rallegrare che gli ultimi “avvertimenti” non mirino ai soldati italiani. Ma il messaggio a Unifil resta quello: andatevene.
Nessuno ferma Bibi
Però dopo un anno di inaccettabilismo la vicenda mediorientale sembra arrivata a un bivio che non permette più di nascondersi dietro la recita della virtù addolorata. Secondo varie fonti, da ultimo militari citati dal giornale Haaretz, a Gaza l’esercito israeliano starebbe dando corso d’attuazione al cosiddetto “Piano dei Generali”, o perlomeno a una sua versione. Nella formulazione originale, la strategia ideata dal generale Giora Eiland, e condivisa da un vasto gruppo di ufficiali, prevede che il nord della Striscia diventi una sorta di ridotta nella totale disponibilità dell’esercito israeliano, che la userebbe per lanciare blitz nel sud quando vi fosse necessità. Occorrerebbe però spopolare un territorio dove tuttora vivono, acquartierati tra le rovine, 400mila palestinesi.
Per scacciarli si è ricorsi dapprima a ordini di evacuazione – con scarsi risultati: chi obbedisse all’ingiunzione di trasferirsi al sud sa che probabilmente non sarebbe più autorizzato a tornare indietro – quindi con la fame: nei primi 15 giorni di ottobre nessun camion ha potuto portare aiuti alimentari e sanitari in quel territorio.
Non sconfessato da Netanyahu, il “Piano dei generali” di fatto consisterebbe in una “pulizia etnica”, sia pure mascherata, cioè un crimine considerato dalla giustizia internazionale nella fattispecie “genocidio”. Che si tratti di una possibilità reale lo conferma il fatto che l’amministrazione Biden ha inviato un ammonimento formale al governo Netanyahu, sotto forma di una lettera congiunta dei ministri degli Esteri e della Difesa, teoricamente riservata ma passata alla stampa perché non restassero equivoci.
Washington richiede che Israele aumenti gli aiuti umanitari ai palestinesi, e soprattutto ponga fine all’«isolamento» del nord di Gaza. Altrimenti potrebbe riesaminare il piano di aiuti militari a Israele, per ridurlo o sospenderlo. Questa minaccia ha suscitato gli alti strepiti dell’Aipac, la poderosa lobby filoisraeliana i cui umori sono assai temuti in una campagna presidenziale incerta.
Ma a ben vedere la possibilità ventilata dai ministri Blinken e Austin non rinnega l’inaccettabilismo occidentale, dato che rimanda l’eventuale revisione delle forniture belliche a metà novembre, cioè al dopo-elezioni. Biden e Harris non saranno costretti a prendere decisioni che potrebbero avere un costo elettorale, e Netanyahu avrà un mese di tempo per ridurre considerevolmente la popolazione nel nord della Striscia («assottigliarla», per usare un termine che la stampa amica gli attribuì).
Eppure a Parigi, a Madrid, a Dublino comincia a essere chiaro che senza una minima coerenza tra i fini dichiarati e i mezzi impiegati le entità chiamate Europa e Occidente certificano il loro declino, una patetica inafferenza. Adesso anche Macron ventila un embargo delle forniture militari a Israele; Irlanda, Spagna, Norvegia e Vaticano hanno riconosciuto la Palestina, con una decisione più simbolica che pratica, ma pur sempre innovativa. E Roma? Annunciando che Tajani andrà in questi giorni «in Palestina», Meloni ha utilizzato una formula che dispiacerà all’amico Netanyahu, ma non dovrebbe irritarlo quanto l’israeliano è stato irritato da Macron: inaccettabilismo aggiornato?
Il cambio di rotta necessario
Si esce dall’inaccettabilismo solo se si dismette l’arsenale di illusioni e imposture dietro le quali tuttora gli europei si nascondono. Occorre guardare in faccia la verità e dirsi chiaramente che la soluzione cara anche all’Italia – «cessate-il-fuoco a Gaza, ricostruzione, soluzione dei due stati» – in quei termini è un wishful thinking, un confondere il desiderio per la realtà.
Israele non ha alcuna intenzione di lasciare interamente Gaza, perché se lo facesse la Striscia diventerebbe il primo nucleo dello stato palestinese che la Knesset rifiuta. E, se gli israeliani restano nel nord, mai i regimi arabi manderanno nella Striscia soldati e investimenti e mai ci sarà un reale cessate-il-fuoco. Si può imporre ragionevolezza al governo Netanyahu? Perlomeno si può provare. Sarà comunque meno indecoroso che praticare ancora un inaccettabilismo che ormai ci rende solo discredito internazionale.
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