Il ministero della Sanità di Hamas a Gaza, citato dai media, ha riferito che «30 persone sono state uccise e più di 100 ferite» nel raid dell'Idf a Deir al-Balah, nel centro della Striscia. Secondo la stessa fonte si «è trattato di un attacco ad un ospedale da campo» che si trova accanto «alla scuola colpita».

Come di consueto l'Idf, l’esercito israeliano, ha spiegato di aver colpito il complesso scolastico perché nell’edificio «c'era un centro di comando e di controllo» di Hamas che si faceva scudo dei civili. Notizie che nessun media internazionale indipendente ha potuto però verificare.

Intanto, la Difesa civile di Gaza riferisce che almeno 170 persone sono morte a Khan Yunis dall'inizio dell'ennesimo assalto israeliano nonostante i nuovi ordini di evacuazione dai quartieri meridionali di Khan Yunis, nel sud della Striscia di Gaza, da parte dell'esercito israeliano, che ha chiesto ai civili di spostarsi nel perimetro ristretto dell'area di Mawasi.

Evidentemente i palestinesi della Striscia, dopo mesi di incessanti combattimenti, bombardamenti e continui ordini contradditori di spostamenti improvvisi prima a sud e poi al nord e infine a est verso il mare Mediterraneo, non sono più in grado di trovare, nei tempi stabiliti, aree sicure, spesso considerate tali solo sulla carta.

Senza contare il problema logistico di costringere una popolazione stremata a continui trasferimenti improvvisi in zone senza servizi medici e strutture logistiche sufficienti.

Secondo le autorità sanitarie di Gaza, che non fanno distinzione tra combattenti e non combattenti, dall’inizio della guerra più di 39.258 palestinesi sono stati uccisi dagli attacchi israeliani nell’enclave.

Secondo i dati israeliani, circa 1.200 persone sono state uccise e 250 prese in ostaggio nel raid del 7 ottobre nel sud di Israele. Secondo la Reuters funzionari israeliani stimano che circa 14.000 combattenti di gruppi militanti, tra cui Hamas e Jihad islamica, siano stati uccisi o fatti prigionieri: parte di una forza che secondo loro contava più di 25.000 militanti all'inizio della guerra.

Dunque dopo 10 mesi di guerra via terra e via cielo, dopo aver minacciato di allagare con l’operazione “Atlantis” i tunnel di Gaza, operazione mai effettuata e caduta nel nulla, il più potente esercito del Medio oriente è riuscito a eliminare solo poco più della metà dei militanti di Hamas, la cui distruzione, secondo il premier Benjamin Netanyahu, è l’obiettivo principale del conflitto in corso.

Come ha scritto Anshel Pfeffer sul quotidiano israeliano, Haaretz, «il vuoto “trionfo di Netanyahu al Congresso americano: è vincere nei discorsi, ma perdere nelle guerre».

Negoziati a Roma

Il premier israeliano Benjamin Netanyahu, incontrando Donald Trump a Mar-a-Lago, in Florida, dopo aver visto Joe Biden e Kamala Harris ha confermato che Israele invierà una squadra negoziale ai colloqui per il cessate il fuoco a Roma «probabilmente all'inizio della settimana».

I negoziati sono ancora in salita perché Hamas insiste sulle ultime richieste contenute nell'ultima proposta di accordo presentata ai mediatori, in particolare sul fatto che ci debba essere un ritiro completo delle Forze di difesa israeliane dalla Striscia per la liberazione di tutti gli ostaggi.

Così fonti vicine a Hezbollah, alla vigilia del vertice previsto per oggi a Roma tra il direttore della Cia, Bill Burns, il capo del Mossad Dedi Barnea, il primo ministro del Qatar Mohammed bin Abdel Rahman al-Thani e il capo dell'intelligence egiziana, Abbas Kamal.

Secondo fonti vicino a Hezbollah, Hamas ha chiesto che il ritiro dei militari di Israele dalla Striscia includa il corridoio di Netzarim e quello di Filadelfia, richieste che Netanyahu ha escluso in precedenza riservandosi il diritto di intervenire nella Striscia in ogni momento e rifiutando di accettare la richiesta di ritiro completo.

Inoltre Hamas non accetterebbe alcun accordo per il rilascio degli ostaggi che non includesse un testo sul raggiungimento di un cessate il fuoco permanente. Anche questa richiesta è stata in passato bocciata dal governo di Tel Aviv. Quindi l’incontro non parte sotto i migliori auspici, anche se di diverso questa volta c’è una forte pressione americana, soprattutto della vice presidente Kamala Harris, per arrivare a un cessate il fuoco prima del voto americano di novembre.

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