Cosa ci insegna l’efferato attentato in Daghestan, in cui, a seguito dell’attacco a due chiese ortodosse, a una stazione della polizia e al rogo di una sinagoga sono morte diciannove persone, tra cui quindici agenti delle forze dell’ordine, con l’aggiunta del macabro sgozzamento di un pope ortodosso?
Anzitutto, ci dice molto sulla Russia: non un paese, ma un immenso territorio con infiniti mondi al suo interno, costantemente in cerca di leadership forti perché perennemente a rischio smembramento. Solo chi, come è capitato a me, si è spinto ben la di là degli Urali può capire che mosaico di lingue e culture è un paese diviso anche da undici fusi orari.
Tre indizi
In secondo luogo, ci dice che da quelle parti il jihadismo è vivo e vegeto. Come si dice, tre indizi fanno una prova. Prima la caccia all’ebreo nelle prime settimane dallo scoppio del conflitto a Gaza, con una folla inferocita che assalta un aereo proveniente da Tel Aviv, in cui, si saprà dopo, non erano presenti ebrei, ma bambini musulmani che andavano a curarsi in Israele.
Poi, il terribile attentato a colpi di kalshnikov al Crocus City Hall di Mosca. Infine, quanto avvenuto domenica scorsa nelle città di Derbant, sede di un’antichissima comunità ebraica, e Makhachkala. Il goffo tentativo, anche questo già collaudato nei due precedenti, di ricondurre tutto al conflitto ucraino e/o all’influenza occidentale mostra solo la difficoltà del Cremlino di controllare il proprio territorio, che appare cosparso di gruppi fondamentalisti organizzati.
Certamente non sono spontanee azioni sobillate ad arte da campagne social, come avvenne nel caso del barbaro assalto all’aeroporto nato da una catena Telegram che sfruttava l’onda emotiva del conflitto mediorientale, così come ora non appare casuale la scelta di colpire alla vigilia della Pentecoste ortodossa.
Per non parlare dell’organizzazione che implica un attentato come quello del marzo scorso a Mosca, che ricorda per modalità il Bataclan di Parigi.
Chiese e sinagoghe
Il contemporaneo attacco a chiese e sinagoghe, però, parla molto anche a noi. Ci dice quanto pretestuosa sia questa alleanza in funzione antisionista fra mondo mussulmano e occidente, che anima anche le nostre tendopoli universitarie in nome di un assai selettivo sentimento umanitario, in realtà punto di intersezione perfetto fra antigiudaismo islamico e cristiano, che da sempre rimproverano agli ebrei di richiudersi nel particolare e di rimanere indifferenti ai grandi ideali universalistici di uguaglianza e fraternità.
Come se l’attuale conflitto mediorientale fosse figlio della sete di vendetta ebraica e non di (sbagliate) strategie di guerra. Come sempre nel caso delle tre religioni monoteiste, in circostanze particolari si possono condividere dei passaggi tattici in nome del vecchio principio per cui il nemico del mio nemico è il mio amico (fu il caso del massacro di Sabra e Shatila dove le falange cristiane massacrarono i musulmani mentre Tsahal voltava sapientemente il viso dall’altra parte), ma troppo distanti appaiono gli obiettivi strategici, che difficilmente comprendono la contemporanea presenza dell’altro.
Semmai è il contesto perfetto perché si alimentino le estreme, occupate dai movimenti più tradizionalisti e radicali, che, come da prassi jihadista, si inabissano per riemergere nei momenti propizi. Come questo, che vede Mosca in altre faccende affaccendata.
Chi tace è complice
Il nostro sforzo dovrebbe andare nella direzione esattamente opposta, cercando di evitare di creare lo spazio per propagande su cui si innestano operazioni di proselitismo, che finiscono per armare la mano delle menti più labili.
Anche qui in occidente, dove le aggressioni antisemite segnano un +500 per cento dall’inizio della guerra con Hamas e l’esacerbato dibattito sociale ha riattivato il perverso circolo fra antisemitismo e islamofobia, di cui si avvantaggiano le destre. E non bisogna andare fino in Daghestan per vedere attaccate le sinagoghe.
Nel silenzio inquietante dell’intellettualità europea, pronta a giustificare qualunque azione come atto di resistenza palestinese riesumando posizioni di decenni fa, un uomo ne ha tentata di incendiare una a Rouen nel maggio scorso. È bene dirlo ora, poi la storia giudicherà: chi tace è colpevole e complice.
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