Il regime mette fuori legge la Chiesa e le sue istituzioni: revocato lo status giuridico della Compagnia di Gesù, chiusa e confiscata l’università centroamericana gestita dai gesuiti. Francesco pochi mesi fa aveva attaccato Ortega affermando che si tratta di una persona ormai squilibrata
Daniel Ortega, il “caudillo” che guida il Nicaragua ininterrottamente dal 2007 con la moglie Rosario Murillo vicepresidente, ha lanciato una sorta di sfida finale a papa Franceso: lo scorso 23 agosto, infatti, ha dissolto la Compagnia di Gesù nel piccolo stato centramericano annullandone lo status giuridico e confiscandone i beni immobili e finanziari, che sono passati allo stato.
Pochi giorni prima anche l’Università centroamericana, gestita sempre dai gesuiti, era stata confiscata dal governo. Lo scontro con fra il regime e la Chiesa va avanti ormai da tempo: un anno fa è finito agli arresti il vescovo Rolando Alvaréz e di fatto dal marzo scorso sono state interrotte le relazioni diplomatiche con la Santa Sede.
Già nel 2022 il nunzio apostolico, monsignor Waldemar Stanislaw Sommertag, era stato espulso dal paese; la nunziatura a Managua era però rimasta attiva grazie alla presenza di monsignor Mbaye Diouf, segretario della nunziatura. Di recente, tuttavia, il governo ha deciso di sospendere le relazioni con il Vaticano, il che ha determinato la chiusura definitiva della rappresentanza della Santa Sede.
Pochi giorni prima, del resto, lo stesso papa Francesco – in un’intervista al portale d’informazione argentino Infobae – aveva definito il regime al potere in Nicaragua, «una dittatura rozza», e aveva aggiunto a proposito dello stesso Ortega: «Con grande rispetto, non posso che pensare che sia squilibrato». In Nicaragua, aveva detto, «abbiamo un vescovo in prigione, un uomo molto serio e molto capace. Ha voluto dare la sua testimonianza e non ha accettato l’esilio».
Quello che sta accadendo, osservava ancora Francesco, «è qualcosa che non è in linea con quanto stiamo vivendo», è come portare nel nostro tempo «la dittatura comunista del 1917 o la dittatura hitleriana del 1935». Da parte sua il regime prima ha reagito definendo vescovi e preti «una mafia», poi chiudendo ogni spazio di vivibilità alla Chiesa e ai gesuiti.
Sono insomma lontanissimi i tempi della rivoluzione sandinista, quando Ortega ricoprì il suo primo mandato presidenziale (1984-1990) e i gesuiti sostennero, almeno in un primo tempo, quel tentativo. Tuttavia, in modo non dissimile da tanti leader latinoamericani, anche Ortega, una volta tornato al potere, ha voluto eternare la propria presidenza, trasformandosi in un autocrate senza scrupoli.
La repressione del 2018
Le cose sono cominciate a precipitare nel 2018, quando Ortega ordinò una durissima repressione del dissenso interno ormai dilagante e che vedeva gli studenti in prima linea nella contestazione del regime. Almeno 400 morti, secondo stime non ufficiali, furono causati dalle forze di sicurezza che intendevano riportare l’ordine nel paese.
Nel frattempo, decine di migliaia di nicaraguensi hanno lasciato il Nicaragua e nel mirino è finita anche la Chiesa, che chiedeva cambiamenti e aperture alla democrazia. Di certo l’Università centroamericana era rimasta uno dei pochi spazi liberi dove era possibile esercitare una critica al regime, e ora è stata chiusa con l’accusa di essere «un centro di terrorismo, che organizza gruppi criminali».
In un comunicato la Compagnia di Gesù rispondeva come la scelta del governo fosse frutto «di una politica governativa che viola sistematicamente i diritti umani e che sembra essere finalizzata al consolidamento di uno stato totalitario». Più formale la decisione di revocare la personalità giuridica della Compagnia di Gesù, motivata con la mancata consegna «dei suoi rendiconti finanziari per i periodi fiscali 2020, 2021 e 2022».
I gesuiti avrebbero quindi omesso di dare informazioni dettagliate su entrate, uscite, bilanci, provenienza dei fondi, avendo tra l’altro «un comitato direttivo scaduto». Scarsa trasparenza e mancato rispetto della legge, in poche parole.
Un regime totalitario
La Compagnia di Gesù ha risposto accusando il governo di «abusi di autorità totalmente ingiustificati e arbitrari», come del resto è accaduto «nella maggior parte degli oltre 3mila casi simili di cancellazione dello status giuridico portati avanti dal regime dal 2018».
«La Provincia Centroamericana della Compagnia di Gesù – si legge nel testo di un comunicato ufficiale – conferma che tutto ciò è finalizzato alla piena instaurazione di un regime totalitario» e «condanna questa nuova aggressione contro i gesuiti del Nicaragua», che considera «inquadrata in un contesto nazionale di repressione sistematica definita come crimini contro l’umanità» dalle Nazioni Unite.
I gesuiti chiedono quindi «alla coppia presidenziale di fermare la repressione, di accettare la ricerca di una soluzione razionale in cui prevalgano la verità, la giustizia, il dialogo, il rispetto dei diritti umani e lo stato di diritto» e «si uniscono alle migliaia di vittime nicaraguensi che aspettano giustizia e riparazione per i danni che l’attuale governo nicaraguense sta causando».
Intanto, Ortega sta procedendo decisamente in politica estera verso la ricerca di alleanze con partner quali Cina, Iran, Russia. E se la sua posizione filo Putin sulla crisi ucraina è di natura essenzialmente propagandistica, più articolata appare la scelta di avvicinarsi a Pechino; nel 2021, infatti, il Nicaragua, seguendo l’esempio di altri paesi centroamericani, ha rotto le relazioni diplomatiche con Taiwan e avviato rapporti diplomatici con la Cina.
Rapporti che sul piano economico hanno già una loro consistenza. È del luglio scorso la denuncia dei rappresentanti dei popoli indigeni circa la concessione di circa 15mila ettari, abitati principalmente da indigeni Miskitu, fatta dal regime sandinista alla società cinese Zhong Fu International Development, per lo sviluppo di attività estrattive.
Secondo la Piattaforma dei popoli indigeni e afro-discendenti del Nicaragua, l’iniziativa «crea le condizioni per un approfondimento dell’attività estrattiva, per la colonizzazione e il genocidio dei popoli che abitano in queste aree».
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