Il teatro di guerra equiparato a un set cinematografico, la disumanizzazione di un popolo, fake news e complotti. Difficile immaginare un termine che racchiuda tutti questi concetti insieme, eppure c’è e si chiama Pallywood. Una parola composta da altre due: “Palestina” e “Hollywood”. E che non è altro che una campagna di disinformazione che accusa i palestinesi di mettere in scena morti, abusi, violenze e sofferenze commesse dall’esercito israeliano a danno dei civili.

Si arriva a negare l’uccisione di bambini, bombardamenti aerei e la crisi umanitaria in corso nella Striscia di Gaza. Non si tratta di semplice fake news, ma anche di propaganda anti palestinese intrisa di discorsi d’odio che mette in discussione le affermazioni di organismi internazionali come le Nazioni unite.

Il termine è stato coniato per la prima volta in un documentario pubblicato nel 2005 dallo storico americano, Richard Allen Landes, dal titolo Pallywood: secondo fonti palestinesi. Il filmato ipotizza una sistemica manipolazione mediatica da parte palestinese e porta come esempio la morte di Mohammad al Durrah, avvenuta il 30 settembre del 2000 durante la seconda Intifada.

Mohammad aveva 12 anni e la sua morte è stata ripresa dalle telecamere di un operatore palestinese che lavorava come frelance per France 2. Nella scena al Durrah protetto da suo padre durante uno scontro a fuoco tra l’esercito israeliano e decine di palestinesi avvenuto al checkpoint di Netzarim. Pochi secondi dopo, il video mostra il corpo del 12enne steso a terra insanguinato.

Le immagini causarono un forte clamore mediatico, ma a causa di alcuni tagli venne considerato da alcuni blogger e dal governo israeliano come falso. In una prima versione il governo israeliano disse che non era vero che Mohammed al Durrah era stato ucciso. Nel 2013 il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha presentato un report interno in cui c’è scritto che non è stata l’Idf a sparare al giovane palestinese.

Indipendentemente dal caso specifico, la vicenda ha dato vita a teorie complottiste alimentate soprattutto dalla destra israeliana. E con la guerra in corso sono ritornate a proliferare sui social network. Secondo un’analisi del team inchiesta della Bbc, dal 7 ottobre su X la parola "Pallywood" ha registrato il picco più alto nel numero di citazioni negli ultimi dieci anni.

Sintomo che c’è un tentativo di screditare il conflitto in corso che ha portato a oltre 42mila morti. Secondo la Bbc, dal giorno dell’attacco di Hamas a novembre, il termine “Pallywood” ha raggiunto oltre 220mila citazioni. Nei precedenti conflitti erano intorno alle 10mila.

Diffusione d’odio

Una delle vicende accusate di essere una messa in scena risale al 13 ottobre del 2023, quando l’account ufficiale di Israele su X ha accusato Hamas di aver inscenato la morte di un bambino di quattro anni a Gaza usando una bambola. Il post è stato immediatamente rilanciato da diversi esponenti politici e diplomatici dello stato ebraico, ma era tutto falso. I giornalisti della Bbc hanno intervistato i familiari del bambino e confrontato le immagini di diversi fotografi che hanno immortalato il corpo. Dopo poche ore l’account @Israel ha eliminato su X il post, ma il danno era ormai fatto. Una volta diffusa, è difficile arginare gli effetti causati da una fake news.

L’ultimo evento bellico al centro dei complotti è l’attacco aereo avvenuto nel cortile dell’ospedale al Aqsa lo scorso 14 ottobre, dove era allestita una tendopoli di sfollati. Il raid, verificato da diversi media e con filmati circolati online, ha causato almeno quattro morti e decine di feriti. Ma diversi account, di cui alcuni legati all’estrema destra israeliana, hanno diffuso un video facendo intendere che l’attacco era falso e le immagini diffuse online da giornalisti e dalla popolazione civile erano state create ad hoc.

Il video è stato pubblicato da un utente chiamato @Natalie_Zion_, che sostiene la presenza di una serie di incongruenze nelle immagini circolate riguardanti l’attacco.

Secondo l’utente ci sono una serie di dubbi a cui dare risposta: «Perché il corpo in fiamme si muove e non urla?»; «Il video dura un minuto e come mai ci sono giornalisti che riprendono la scena con i loro cellulari ma nessuno apparentemente aiuta le persone che stanno bruciando vive?»; e ancora: «Lo stesso corpo che brucia è apparentemente a terra in un altro video».

Assunti facilmente messi in discussione da immagine circolate online da altre inquadrature. Il video però arriva a una conclusione dandola per certa: «L’unica spiegazione è che il video è girato in uno studio con attori. E i cosiddetti giornalisti pagano per filmare Pallywood, ma chiaramente uno alla volta perché ogni giornalista e ogni attore fanno esattamente la stessa cosa», si legge nel testo allegato al filmato.

La versione non convince alcuni utenti, uno dei quali nei commenti sotto al post scrive: «In che tipo di studio sarebbero state girate le immagini? Pensi che abbiano abbastanza risorse per uno studio set up? In questo momento storico?». La risposta: «Loro hanno ricevuto 40 miliardi di dollari, hanno risorse per fare di tutto». Lo stesso utente insiste domandando chi abbia dato loro i soldi, ma non ha mai ricevuto risposta. Inoltre, sul piano istituzionale il governo israeliano non ha mai negato l’attacco, condannato anche dal governo degli Stati Uniti.

Un altro account accusato di diffondere fake news e video non verificati è @Hamasatrocities. Nella biografia del profilo su X si legge: «Il sionismo è un imperativo morale»; facendo intuire che non si tratta di un account imparziale. Tra gli ultimi post c’è un video in cui si vedono alcuni soldati distribuire viveri a degli sfollati in uno scenario di guerra. Nella didascalia è specificato che sono soldati israeliani che forniscono aiuti e si smonta il concetto secondo cui a Gaza è in corso un genocidio riflettendo l’animo buono dei militari che consegnano ai civili cibo e bottiglie d’acqua.

Tuttavia non ci sono elementi per dimostrare che i soldati siano dell’Idf e che, soprattutto, quel luogo sia il nord della Striscia. In altri post l’account contesta anche che a Jabalia sia in corso un assedio e accusa i civili rimasti di essere sostenitori di Hamas. Assunzioni false, come Domani ha raccontato con fonti che vivono a Jabalia.

La fabbrica di troll

Secondo un articolo di France 24, gli account che sui social hanno utilizzato maggiormente la parola Pallywood per disumanizzare il popolo palestinese provengono da Stati Uniti, Israele e India. Può sorprendere la presenza del paese asiatico, ma in realtà ci sono diversi elementi che sostengono questi dati. Innanzitutto, l’India è un paese dove la disinformazione online è costante e pervasiva.

Esistono fabbriche di “troll” pagati per diffondere discorsi d’odio tra la popolazione. Il fenomeno è aumentato ancora di più con l’avvento al potere del premier Narendra Modi, che ha contribuito a diffondere un sentimento islamofobo, portando a tensioni e conflitti con la maggioranza indù.

Inoltre, i rapporti tra il governo indiano e quello israeliano sono ottimi e collaborativi. L’India acquista circa il 40 per cento dell’export militare israeliano, con Tel Aviv che fornisce anche expertise in ambito agricolo.

Il ruolo del giornalismo

L’unico argine ai troll che alimentano il Pallywood è il giornalismo indipendente. Da un anno, diversi team inchiesta delle testate più famose hanno eseguito attività di debunking su decine di video. Tuttavia, è sempre più complicato farlo dato che nella Striscia di Gaza non c’è accesso ai media stranieri. Gli unici giornalisti presenti sono quelli palestinesi, che vengono presi di mira dall’esercito israeliano (oltre 120 morti in un anno) e sono sistematicamente screditati dall’estrema destra. Non garantire accesso e sicurezza ai giornalisti favorisce la proliferazione di ricostruzioni complottiste, di cui spesso si serve anche il governo israeliano.

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