Israele è criticabile per l’efferatezza della propria azione ma l’organizzazione terroristica, preoccupata solo dalla sua ideologia, sacrifica il proprio popolo
C’è una cosa che chi sostiene i diritti dei palestinesi deve sapere: il modo con cui Hamas sta perseguendo la lotta dimostra il poco o nullo interesse per il popolo. L’unica cosa che conta è l’ideologia del movimento.
È lecito criticare Israele per il modo con cui sta conducendo questa guerra e per le vittime civili che produce. Tuttavia una cosa appare chiara: tutto lo sforzo israeliano è concentrato sulla protezione del proprio popolo mentre Hamas “usa” il proprio popolo per sé stessa, come scudo e vittima sacrificale. Chi è disposto a sacrificare i propri connazionali non è degno di rappresentarli.
Anche la questione del martirio è posta in maniera ambigua: se sei disposto a “far martirizzare” i tuoi senza che lo sappiano o in modo che non hanno scelto, sei un criminale e basta. Gli israeliani sono accusati di compiere atti criminali verso i palestinesi ma il proprio popolo lo difendono eccome. Hamas invece infierisce sia contro gli israeliani sia contro i palestinesi. Che diritto ha dunque di ergersi a paladina di una parte?
Il mondo arabo
Tutto questo lo si trova detto e scritto (sottovoce ancora) nel mondo arabo. Prova ne sia la non particolare simpatia per Hamas. Nelle chat e sui social arabi sempre di più spuntano domande (e non è la prima volta) su come sia possibile che Israele rispetti i propri concittadini al punto di massacrare tutti ma che da parte di Hamas ci si curi soltanto di difendere una “causa”, una “ideologia”, un “movimento” ma non certo il popolo per cui si dice di combattere.
L’idea del sacrificio, cioè che ci si debba sacrificare per la liberazione, sta mostrando la corda: ai palestinesi non rimane in mano nulla, nemmeno le case, nemmeno quel poco di terra che avevano. Questo spiega perché in Cisgiordania non ci si ribella in solidarietà con Gaza: a quale scopo lo si farebbe? Rischiando di perdere anche quel poco che si possiede? I palestinesi più lucidi sanno che la destra estrema israeliana non aspetta altro: una ennesima rivolta per distruggere e prendersi tutto.
La strada intrapresa da Hamas non porta a nulla: viene presentata come una forma di “ribellione giusta” ma che di giusto non ha proprio nulla. Il parallelo si può fare con le democrazie occidentali: chi le critica per essere credibile dovrebbe trattare il proprio popolo almeno allo stesso modo.
La politica estera occidentale è spesso criticabile perché ingiusta, erronea, ambigua, basata sui due pesi e due misure, scorretta o illegittima. Nondimeno per criticarla occorre avere lo stesso standing che in Occidente si ha in politica interna, cioè sul rispetto dei diritti dei propri concittadini.
In altre parole: se sei un regime autoritario non puoi criticare le ambiguità delle democrazie occidentali: non sei credibile e usi il doppio standard pure tu. Solo che lo fai addirittura in casa. Se sei come Hamas, cioè disposto a vincere o sopravvivere su un lago di sangue, non sei credibile per la causa palestinese. Al massimo puoi ottenere una qualche sensazione di rivincita che tramonta presto in un mare di rovine.
Il 7 ottobre può aver dato ai palestinesi tale sensazione ma oggi è ormai inghiottito da una massa di macerie, morti e lacrime. Meglio era dare ascolto a quella coraggiosa presentatrice della tv al Arabiya che prese subito di petto il leader Ismail Haniyeh, sorprendendolo con le sue critiche sull’efferatezza dell‘attacco e lamentando l’immagine che Hamas aveva dato degli arabi.
Aveva ragione: nel Global South al calo generale di simpatia per Israele non corrisponde un aumento di quella per gli arabi. Basta girare l’Africa nera o altri continenti per accorgersi che il pregiudizio sugli arabi sanguinari si è rafforzato. La cosa più paradossale è che si tratta di qualcosa senza esito. Certamente è Israele a dover fare i conti con tale rancore, spirito di vendetta fino all’autodistruzione: dovrà comunque convivere con i palestinesi.
Un popolo sommerso nello “spirito kamikaze” non fa ben sperare quando ci si deve vivere a contatto. Meglio sarebbe trovare un’altra strada: avere cioè la generosità di trattare i palestinesi almeno un po’ come gli israeliani trattano loro stessi, proteggendoli dalla violenza, includendoli o dando loro uno stato. Perché alla fine resta pur sempre un domanda aperta: se Hamas non è degna di rappresentare i palestinesi, nemmeno gli israeliani possono farlo. Chi lo farà dunque?
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