- Per un paese provinciale come l’Italia dovrebbe essere una priorità avere il posto in scadenza di segretario generale della Nato, un modo per avere una voce e una antenna che conosca in anticipo gli umori e cosa bolle in pentola a Mosca e Washington.
- Alla Nato a trazione polacco-baltica l’Italia dovrebbe sostituire una maggiore attenzione ad esempio al quadrante del Mediterraneo.
- Il fallimento italiano del 2004 con Franco Frattini (a cui alcuni aggiungano un tentativo poco noto di candidare Antonio Martino) oggi potrebbe essere usato come un credito dalla nostra diplomazia a Washington.
«Per un paese provinciale come l’Italia dovrebbe essere una priorità avere il posto in scadenza di segretario generale della Nato, un modo per avere una voce e una antenna preziosa che conosca in anticipo gli umori e cosa bolle in pentola a Mosca e Washington», confida un diplomatico di carriera che conosce molto bene il dossier della Nato, architrave della politica estera italiana. Il segretario generale della Nato oggi ha un ruolo significativo: ha lo status di capo di stato, intrattiene rapporti con i leader di tutto il mondo e ha a disposizione uno staff di 1.200 persone alla sede dell’Alleanza atlantica di Bruxelles, un edifico post moderno poco distante dall’aeroporto della città belga.
La nomina degli ultimi segretari è stata in mano soprattutto a Gran Bretagna e Paesi Bassi. Poi si sono affacciati Belgio, Spagna, Germania, Danimarca e Norvegia. L’ultima presenza italiana si perde nel tempo e risale a cinquanta anni fa, all’ambasciatore Manlio Brosio, al vertice a Bruxelles dal 1964 al 1971.
Solitamente l’incarico è stato ricoperto da uomini politici e nelle ultime due nomine (il danese Anders Rasmussen e il norvegese Jens Stoltenberg) si è trattato di due ex primi ministri, sebbene questo non rappresenti certo una regola. Le ultime due segreterie scandinave hanno caratterizzato la Nato “a trazione” polacco-baltica, una posizione comprensibile in funzione soprattutto anti russa ma che ha perso la centralità che aveva durante la Guerra fredda. Per l’Italia sarebbe più opportuna una maggiore attenzione, ad esempio, al quadrante del Mediterraneo.
La candidatura di Frattini
In passato l’Italia ha tentato senza successo la scalata al posto di segretario generale, ma l’ultimo candidato italiano, l’allora ministro degli Esteri Franco Frattini, nel 2004 è stato sbaragliato, a sorpresa, proprio dal norvegese Stoltenberg.
Come è potuto accadere questo passo falso della nostra diplomazia? Sembra che sia stato il presidente americano Barack Obama a mettere il veto su Frattini su suggerimento della potente Victoria Nuland, allora consigliere della segreteria di Stato per gli affari europei.
Nuland avrebbe suggerito il veto su un candidato ritenuto troppo vicino al Berlusconi del vertice tra Bush e Putin a Pratica di Mare e quindi troppo dialogante con il Cremlino. Un segretario della Nato, per il ruolo che ricopre, deve essere schierato nel solco dell’atlantismo più assoluto e su Frattini gli americani in quell’occasione non se la sono sentita di puntare.
L’appoggio francese
Questo fallimento italiano (a cui alcuni commentatori aggiungono un tentativo poco noto alle cronache di candidare Antonio Martino, sostenuto questa volta anche dagli americani) oggi potrebbe essere usato come un credito da riscuotere dalla nostra diplomazia nei confronti di Washington.
Soprattutto visto che il norvegese Stoltenberg, che non ha certo brillato nei sette anni passati, è rimasto in sella come segretario generale della Nato nonostante le perplessità di parecchi osservatori. Ora sembra che la importante casella spetti per rotazione a un politico dell’Europa meridionale e quindi si ripresenta all’orizzonte un’occasione per un candidato italiano e sarebbe davvero un peccato non approfittarne.
Certo, occorre muoversi in anticipo in questo genere di iniziative, tessere alleanze e soprattutto non dover inseguire il candidato di un altro paese. Meglio esplicitare subito un proprio candidato, forte, conosciuto internazionalmente e cercare sostegno e convergenze sul nome prescelto.
Mettere in atto quella diplomazia da “sistema paese” che portò ad esempio alla vittoria di Milano come sede dell’Expo sbaragliando la turca Smirne. Sarà possibile ripetere quella felice combinazione astrale? Qualche elemento positivo su cui riflettere non manca.
C’è da sottolineare che la Parigi di Emmanuel Macron, in questa fase del dopo Brexit, sembra orientata a sostenere un candidato italiano, non fosse altro per fermare le ambizioni britanniche sulla Nato. Londra, infatti, punterebbe sull’ex premier conservatore Theresa May, o in alternativa all’ex ministro degli Esteri, William Hague anche se non ci sono ancora iniziative formali da parte inglese.
I candidati italiani
Chi sono i candidati italiani su cui scommettere? I pretendenti nazionali sono un gruppo ristretto anche a causa della poca esposizione internazionale della nostra classe politica.
Escluso dai giochi Enrico Letta, diventato segretario del Pd in sostituzione di Zingaretti, ma che avrebbe avuto tutte le carte in tavola dopo l’esperienza pluriennale ed internazionale a Science Po a Parigi, in pole position ci sarebbe il commissario europeo ed ex premier Paolo Gentiloni, candidato però anche al Quirinale; e qui le due candidature si intrecciano come solo nella politica italiana può avvenire in quel gioco di specchi e di depistaggi dove alla fine nessuno sa più districarsi.
Gentiloni conosce ed è conosciuto dalle cancellerie che contano e ha un invidiabile bagaglio di esperienza politica alle spalle. Certo il premier, Mario Draghi, potrebbe preferire l’opzione di mantenere la pedina del commissario Gentiloni fino al primo ottobre 2022, data della scadenza di Stoltenberg, e allora si dovrebbe puntare su altri nomi.
Tra le riserve della Repubblica ci sono il presidente della commissione Difesa della Camera, Piero Fassino e un’auto-candidatura piuttosto estemporanea dell’ex premier Matteo Renzi, che però ultimamente sembra interessato più a ricoprire il ruolo, economicamente più redditizio, di conferenziere internazionale.
Senza dimenticare che, nel caso si volesse puntare su una donna, ci sarebbe nella lista Federica Mogherini, già alto rappresentante per la Politica estera dell’Ue voluta proprio da Matteo Renzi, un’esperienza nella quale però molti commentatori ritengono non abbia lasciato un ricordo indelebile.
Senza dimenticare la possibile carta di lanciare nella corsa il ministro della Difesa, Lorenzo Guerini. Ma la vera differenza la farebbe l’esame di atlantismo a cui Washington sottoporrebbe il candidato prescelto. Alla segreteria della Nato non si arriva con un concorso (non c’è nemmeno una procedura consolidata per la scelta), ma con un accordo politico con Washington e gli altri 29 membri.
Gli errori di Stoltenberg
Stoltenberg viene accusato da più parti di occuparsi poco del fianco sud della Nato e di avere trasformato la sconfitta degli americani in Afghanistan in quella della Nato. La Nato in realtà aveva cessato le operazioni di combattimento in Afghanistan il 31 dicembre 2014 con la fine della missione Enduring Freedom a cui aveva sostituto operazioni di addestramento e fornitura di equipaggiamenti. Stoltenberg invece di restare defilato dopo la decisione unilaterale americana di ritirarsi dall’Afghanistan dopo venti lunghi anni di conflitto, si è esposto inutilmente e ha coinvolto l’Alleanza atlantica nella disastrosa evacuazione.
Una brutta pagina di storia che Stefano Pontecorvo, il rappresentante della Nato in Afghanistan, ha cercato di rendere meno drammatica nei terribili giorni della fuga degli occidentali da Kabul.
Un grave errore di comunicazione quello di Stoltenberg: i rappresentanti dei 30 paesi dell’Alleanza (ultimo arrivo la Macedonia del Nord dopo l’accordo sul nome con la Grecia dell’ex premier Alexis Tsipras) non hanno affatto apprezzato.
Dunque è tempo di scommettere su un candidato italiano alla Nato, anche se l’Italia è stata in passato poco rappresentata negli organismi internazionali, in particolare nelle istituzioni europee.
Molti ricordano con rammarico le dimissioni di Franco Maria Malfatti che nel 1972, dopo soli due anni di presidenza della commissione Ue, si dimise preferendo tornare alla vita politica nazionale. Un episodio che ancora viene citato negli ambienti diplomatici a dimostrazione dello scarso interesse della nostra classe politica per le cariche internazionali.
L’Italia e la Nato
Eppure il ruolo dell’Italia nella Nato è centrale. L’Italia è presente nel Mar Baltico e nella polizia aerea della Nato, in Kosovo e nella lotta al terrorismo, in particolare nell’ambito della missione Nato in Iraq, che l’Italia guiderà il prossimo anno.
L'Italia ospita anche molte importanti istituzioni della Nato, tra cui il Nato Defense College, al cui settantesimo anniversario ha partecipato il segretario generale. L’Italia contribuisce anche a mantenere forte la Nato attraverso l’innovazione e la tecnologia, e ha recentemente ospitato il Forum Nato-Industria.
Per dare un senso al nostro atlantismo e avere una sedia nel tavoli che contano, il prossimo segretario generale della Nato dovrebbe essere italiano.
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