La gestione politica è dei palestinesi, quella della sicurezza spetta agli israeliani. Il piano “quattro angoli” presentato dal ministro della Difesa Yoav Gallant e la decisione di indagare sui fallimenti nella sicurezza del 7 ottobre ha diviso il gabinetto di guerra
L’incontro del gabinetto di guerra israeliano per decidere le sorti di Gaza si è concluso con litigi, urla e membri che hanno lasciato in anticipo la riunione. A tre mesi di distanza dalle operazioni militari il distacco tra leadership politica e militare non è mai stato così ampio. Oltre al piano futuro per governare Gaza, a dividere i ministri di estrema destra e i vertici dell’esercito israeliano è soprattutto la decisione presa da parte delle Forze armate di avviare un’inchiesta interna sulle falle della sicurezza che hanno portato al 7 ottobre scorso.
Il piano di Gallant
Il premier Benjamin Netanyahu ha affidato al suo ministro della Difesa, Yoav Gallant, il compito di stilare una soluzione politica per il dopoguerra. Dopo mesi di studio Gallant ha presentato al gabinetto il suo piano “quattro angoli”. La Striscia rimarrebbe sotto il controllo palestinese, ma non più di Hamas. Non è specificato se il nuovo ruolo politico-amministrativo spetterà all’Autorità nazionale palestinese (vista la sua debolezza e le critiche dei palestinesi) o sarà affidato a un altro organismo che nascerà nei prossimi mesi. «Gli abitanti di Gaza sono palestinesi, quindi saranno responsabili organismi palestinesi, a condizione che non vi siano azioni ostili o minacce contro lo stato di Israele», ha detto Gallant. La sicurezza, invece, sarà in mano di Israele. La proposta, resa pubblica nella serata del 4 gennaio, non ha ancora ricevuto pareri espliciti da parte degli stati arabi. Sicuramente non sarà gradita agli stessi palestinesi l’idea che la gestione della sicurezza sia in mano a Tel Aviv. Nei giorni scorsi era stata bocciata una proposta composta di tre fasi formulata dall’Egitto, mentre c’è attesa per il piano a cui sta lavorando il presidente turco Recep Tayyip Erdogan.
Ma oltre al lato politico-amministrativo c’è un fazzoletto di terra distrutto dai missili israeliani e da ricostruire da zero. Per Gallant se ne occuperà una «forza multinazionale», non è chiaro cosa voglia dire. Ci sarà un coordinamento internazionale gestito dalle Nazioni unite? O sarà creato un organo sotto l’ombrello degli Stati Uniti con gli alleati e dei paesi arabi? In altre occasioni a prendere in mano la ricostruzione sono stati i paesi arabi, tra cui Egitto e Qatar, come accaduto dopo l’offensiva militare israeliana del maggio 2021.
Gallant ha gettato anche le basi della strategia dell’esercito per i prossimi mesi: focalizzare i raid nel nord della Striscia, continuare la ricerca degli ostaggi in mano a Hamas e alla Jihad islamica; mentre al sud l’obiettivo è scovare i leader di Hamas. Per questo negli ultimi giorni alcuni raid si sono concentrati a Khan Younis, considerata la roccaforte dell’organizzazione terroristica.
Le divergenze
Il piano non ha accolto il parere favorevole di tutti i ministri. Ben Gvir e Smotrich, quelli collocati più a destra, vorrebbero deportare i palestinesi in altri paesi e far ripartire la ricostruzione di Gaza con nuovi insediamenti dove mettere i coloni. La loro proposta è stata subito respinta dalle Nazioni unite, dagli Stati Uniti e anche dai paesi arabi. Ma le differenze di vedute interne non finiscono qui. Diversi ministri del Likud e alcuni legati ai partiti di estrema destra hanno alzato i toni durante il gabinetto di guerra attaccando il capo di stato maggiore Herzi Halevi che ha deciso di far partire un’indagine interna sulle falle nella sicurezza del 7 ottobre. Halevi è stato accusato dai vertici politici di non essere focalizzato sulla guerra e di poca professionalità visto il momento delicato in cui il conflitto rischia di allargarsi anche ad altri attori internazionali come Hezbollah o l’Iran. Il presidente iraniano, Ebrahim Raisi, ha già detto che l’operazione diluvio al Aqsa, lanciata da Hamas tre mesi fa, «sarà la fine di Israele», innalzando ancora di più la tensione.
Oltre alla tempistica dell’indagine interna, hanno suscitato critiche i nomi della squadra investigativa. Il personaggio più criticato è l’ex capo di stato maggiore dell’Idf Shaul Mofaz per via del suo coinvolgimento nel ritiro del 2005 da Gaza. Halevi si è difeso dalle accuse dicendo che l’inchiesta è di natura operativa e non politica. Secondo quanto riporta il Time of Israel a prendere le sue difese è stato anche il ministro Gallant e l’ex capo di stato maggiore Benny Gantz. «Questa è un’indagine professionale, cosa ha a che fare con il disimpegno? – ha detto – Il capo dello staff sta indagando su cosa sia successo per servire i nostri obiettivi di battaglia e la nostra capacità di pianificare uno scontro nel nord». Il futuro di Gaza non divide solo la comunità internazionale ma sta creando voragini anche all’interno della leadership israeliana.
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