Alcuni gruppi hanno scelto l’isolamento come strategia di sopravvivenza, per evitare l’annientamento brutale. Il ritiro nell’entroterra è figlio di contingenze storiche momentanee: non si tratta mai di una condizione primigenia
L’attacco è avvenuto verso le dieci del mattino del 29 agosto. I boscaioli stavano tagliando alberi per aprire un sentiero nella foresta dell’Amazzonia peruviana quando si sono imbattuti nei Mashco Piro. Come spesso accade in queste circostanze, l’incontro è rapidamente mutato in uno scontro. Due taglialegna sono rimasti uccisi a colpi di frecce, un altro è stato ferito, altri due risultano dispersi. Non si hanno notizie, per ora, di vittime fra i nativi.
La vulnerabilità
I Mashco Piro sono uno dei circa 150 gruppi nativi amazzonici che vivono in stato di isolamento, ovvero senza contatti o con contatti sporadici con altri gruppi di persone. La maggior parte, circa 80, si trova sul territorio brasiliano, mentre si stima che almeno 15 abitino, come i Mashco Piro, in territorio peruviano. Si tratta di persone estremamente vulnerabili, la cui esistenza è costantemente minacciata da vari fattori legati soprattutto allo sfruttamento delle risorse di cui è ricca l’Amazzonia (legname, minerali), alla coltivazione illegale di coca e all’apertura di strade.
Ogni contatto con persone esterne costituisce per i gruppi in isolamento un pericolo. Non soltanto a causa dei virus per i quali non hanno ancora alcuna immunità, ma anche a motivo del fatto che le prime persone con cui vengono in contatto il più delle volte sono armate, perché coinvolte in attività di sfruttamento illegale del territorio. Da qui omicidi di nativi, probabilmente perfino massacri di cui non viene data notizia. Che questi gruppi vivano in delle riserve appositamente istituite per proteggerli non è sufficiente per difenderli da chi vuole lucrare sulle ricche risorse del territorio amazzonico.
L’attacco non è stato un fulmine a ciel sereno. Il 5 agosto, la Fnamad (Federación Nativa del Rio Madre de Dios y Afluentes) aveva pubblicato la notizia di un altro attacco subito dai taglialegna da parte di un gruppo di circa cento Mashco Piro nella medesima regione. In quel caso non ci furono morti fra i taglialegna, ma restò il solito dubbio su possibili vittime tra i nativi, probabilmente gli stessi fotografati poche settimane prima sulle sponde di un fiume in quella zona dall’ong Survival International.
Se sommiamo i due attacchi potremmo concludere che questa tribù sia particolarmente feroce e aggressiva. Ma la realtà è diversa. Le incursioni dei taglialegna illegali nella riserva sono sempre più frequenti. Il secondo attacco è avvenuto all’esterno del territorio assegnato ai Mashco Piro, ma questo rimanda al fatto che quelle persone non hanno la minima idea di vivere in una riserva, né che questa abbia dei confini.
Le leggende sugli incontattati
Sembrano storie di un’altra epoca, sulla falsariga di un western: i coloni invadono i territori dei indiani, che si ribellano in una lotta impari il cui esito è già scritto. Il rapporto di forza è crudelmente asimmetrico: archi e frecce contro fucili. La storia dei popoli senza storia: ma questo è un doppio malinteso. Nell’immaginario occidentale i popoli in isolamento come i Mashco Piro, definiti “incontattati” o “mai contattati” perfino dalla ong Survival International, sono gruppi umani che dalla notte dei tempi non hanno né hanno mai avuto alcun rapporto con altre comunità, e abitano terre incontaminate.
Popoli vergini in una foresta vergine. Nulla è più lontano dal vero. Archeologi e antropologi sono oggi concordi sul fatto che l’ecosistema amazzonico contemporaneo non è rappresentativo dell’Amazzonia del passato. Gli antichi abitanti dell’Amazzonia hanno infatti modificato profondamente il paesaggio da molto prima dell’arrivo degli europei. Ad esempio, sappiamo che aree oggi interamente ricoperte dalla foresta furono in passato intensamente coltivate.
Le moderne tecniche di analisi del suolo rivelano infatti che sin dal 4000 a.C. gli amazzonici modificarono artificialmente porzioni di territorio che potevano estendersi per diverse decine di ettari, tramite l’aggiunta deliberata di materiale organico, al fine di rendere la terra più fertile. Sappiamo inoltre che, nel preparare il terreno per l’agricoltura, gli alberi produttivi venivano risparmiati dall’abbattimento. Col passare del tempo, una volta abbandonati i campi, gli alberi continuavano a crescere, a produrre e a riprodursi.
Quello che potrebbe sembrare un’indistinta massa di alberi è in realtà un paesaggio plasmato dalla creatività umana. Altro che foresta “vergine”. Per esempio: il sito archeologico di Kuhikugu, nell’Amazzonia brasialiana, si compone di diversi agglomerati urbani, con tanto di piazze e fossati, collegati fra di loro da strade e ponti che si diramano radialmente (e per decine di ettari) a creare quello che sembra un sistema di insediamenti strutturato che è probabilmente stato abitato da diverse decine di migliaia di persone nel periodo compreso fra il 1250 e il 1650 d.C.
La capacità di adattamento
Queste scoperte suggeriscono che le popolazioni amazzoniche odierne non vivono come i loro antenati. Le loro strategie di sussistenza e l’organizzazione sociale sono state profondamente influenzate dalla colonizzazione iniziata del XIV secolo. Per sfuggire agli invasori e ai virus da loro portati, i popoli nativi sono stati costretti a spostarsi in nuovi territori, hanno abbandonato in molti casi l’agricoltura per la caccia, cercato rifugio nelle aree più remote della foresta e interrotto i legami con altri gruppi nativi a cui erano legati da scambi commerciali, rituali e matrimoniali.
L’isolamento in cui vivono oggi non è, insomma, un modo di vita ancestrale: nessun gruppo umano ha interesse a isolarsi completamente e a non stabilire contatti con l’esterno. L’isolamento è piuttosto una soluzione radicale messa in atto per sfuggire alle violenze della colonizzazione. Un rimedio estremo a un male estremo.
Isolamento come scelta
Popoli come i Mashco Piro hanno scelto l’isolamento per evitare l’annientamento. La storia dimostra come sia difficile dargli torto. La colonizzazione dell’Amazzonia è stato un fenomeno brutale che ha causato l’estinzione di centinaia di società native. Si stima che nel 1492 la popolazione nativa dell’Amazzonia oscillasse fra gli 8 e i 10 milioni di persone. Nel 1980 era di appena 200.000. Il recente incremento demografico dei nativi amazzonici, oggi circa 1,5 milioni, è senz’altro un dato positivo, che non deve però trarre in inganno: la colonizzazione dell’Amazzonia, come dimostra il caso dei Mascho Piro, non si è mai arrestata, e i suoi popoli corrono, oggi come secoli fa, gli stessi pericoli.
Si capisce insomma quanto l’espressione “incontattato” sia inappropriata. I Mashco Piro sarebbero certamente sorpresi se scoprissero che li si crede tali. E lo sarebbe anche Carlos Fitzcarrald, il barone del caucciù reso famoso dal film di Herzog (Fitzcarraldo, 1982) che nel 1894 riuscì a penetrare nel territorio dei Mashco Piro in cerca della preziosa gomma e di indigeni da schiavizzare per la sua raccolta. La resistenza che i Mashco Piro, all’epoca agricoltori sedentari, opposero all’invasione delle loro terre venne sedata nel sangue.
Documenti dell’epoca indicano che più di 300 Mashco Piro vennero uccisi, i loro villaggi bruciati, le loro canoe distrutte. I Mashco Piro di cui racconta questo articolo sono i discendenti dei sopravvissuti alle stragi compiute da Fitzcarrald, fuggiti nei luoghi più remoti della foresta per salvare la pelle. La loro tragica storia è, purtroppo, la stessa di ogni società che vive oggi in isolamento in Amazzonia. Lo stato di isolamento dei cosiddetti popoli “incontattati”, insomma, è causato dalla colonizzazione. Non è una condizione primigenia, bensì una strategia di sopravvivenza.
I Mashco Piro sono stati privati di molte cose: della loro terra, della possibilità di una vita sedentaria; sono stati massacrati, e la loro stessa esistenza continua a essere minacciata. Negargli anche la Storia, continuando a definirli “incontattati”, sarebbe davvero troppo.
© Riproduzione riservata