Parla lo scrittore ed ex project director all’International Crisis Group a Gerusalemme: «In Cisgiordania Netanyahu sta cercando di replicare la guerra di Gaza. Ormai questo è uno stato etnonazionale, molto in linea con l’Ungheria di Orbán e altri paesi che stanno erodendo i poteri della magistratura. Le idee di Trump? Qui ha avuto il plauso anche della sinistra»
Per una soluzione a lungo termine del conflitto israelo-palestinese bisogna iniziare a cambiare punto di vista: non esiste un buon Israele democratico e una cattiva occupazione temporanea, ma un sistema di controllo degli ebrei sui palestinesi. La forza militare impiegata in Cisgiordania negli ultimi tempi è a quasi a livelli senza precedenti, come pure la velocità con cui Israele si sta accaparrando territori palestinesi.
Parla con Domani il Premio Pulitzer Nathan Thrall, per anni project director all’International Crisis Group a Gerusalemme e autore del libro premio Pulitzer 2024 Un giorno nella vita di Abed Salama. Nel libro, il racconto dell’incidente di uno scuolabus nel 2012 in cui perde la vita uno dei figli di Salama diventa l’espediente con cui denunciare l’impatto sulla vita quotidiana di generazioni di palestinesi del sistema di controllo praticato da Israele in Cisgiordania.
Thrall, le recenti operazioni militari nel nord della Cisgiordania rappresentano un cambiamento nella strategia israeliana?
Rappresentano l’intensificazione di una vecchia strategia. Questa idea di “gazificazione” della Cisgiordania non significa solo usare più forza. Viene dal cuore della strategia sionista, che è basata sullo slogan: ’più terra possibile, col meno possibile di arabi’. Significa che le aree densamente popolate non possono essere di fatto annesse. È troppo complicato. Qui, l’approccio è quello di sigillarle e controllarle dall’esterno, come a Gaza appunto. La comunità raccontata in questo libro è esattamente un esempio della “gazificazione” della Cisgiordania.
La proposta di Trump di svuotare Gaza dai palestinesi sembra aver riscosso il plauso dell’intera classe politica israeliana.
Anche il centrosinistra l’ha lodata, tutti quanti. Questa realtà espone come i media occidentali travisino sempre questo paese. Non si capisce che anche la sinistra qui è etnonazionalista. Chiede, prima di tutto, che ci sia una maggioranza demografica ebraica. Per questo sono aperti all’idea del trasferimento. Qui la sinistra è diversa da quella europea o americana, non è universalista.
Pensa che Israele stia cercando di creare uno nuovo status quo, sottraendo quanta più terra possibile finché questo governo rimarrà in carica?
Hanno percepito di avere un’opportunità unica dal 7 ottobre, perché tutti gli occhi sono puntati su Gaza. È davvero sorprendente l’enorme forza militare impiegata nei campi profughi. Per 15 anni non c’è quasi mai stato un attacco aereo in Cisgiordania. E questo è uno dei motivi di un così alto numero di morti nell’ultimo mese. Sgomberare i campi profughi di Jenin e Tulkarem, dire a tutti di andarsene, è un tentativo di replicare la guerra a Gaza.
Cosa l’ha spinta a scegliere di descrivere questo sistema dando un volto preciso a chi ne fa parte?
È stata una scelta nata dallo sconforto. Ho trascorso un decennio scrivendo saggi analitici e storici e ho scoperto che non era efficace. Bisogna capire che non abbiamo un buon Israele democratico da una parte e una cattiva occupazione temporanea dall’altra. Si tratta di un sistema di controllo degli ebrei israeliani sui palestinesi. L’unico modo in cui ho pensato di poterlo descrivere efficacemente è stato attraverso gli occhi della gente che lo vive.
A più di un anno dalla pubblicazione del libro, come è cambiata la vita di Abed?
È molto gratificato dal fatto che il libro sia stato tradotto in diverse lingue, che stia raggiungendo molte persone. Ma la sua situazione è peggiorata e questo è vero per quasi tutti i palestinesi in Cisgiordania. Subito dopo il 7 ottobre, la sua intera comunità, Anata, è stata chiusa. Ora le restrizioni alla circolazione in Cisgiordania sono le più dure da sempre. C’è stata un’enorme ondata di uccisioni dal 7 ottobre. E poi un massiccio accaparramento di terre. Dall’inizio della guerra, Israele ha confiscato più terra palestinese che nei precedenti 20 anni.
Come è stato accolto il libro in Israele?
Le traduzioni in ebraico e arabo non sono ancora uscite. Quindi non posso ancora descrivere davvero le reazioni. C’è stata una presentazione a Gerusalemme Est l’estate scorsa. Abbiamo avuto il tutto esaurito, con un pubblico di palestinesi, ebrei israeliani di sinistra, diplomatici, Ong, stranieri. Abbiamo cercato per settimane di ottenere un permesso per fare venire Abed. Vive a soli 10 minuti di macchina, dall’altra parte del muro, ma non siamo riusciti a ottenerlo. Ho letto una sua dichiarazione su come il fatto stesso che tutte queste persone si siano riunite per sentir parlare della sua vita, e non possano ascoltare direttamente lui, è esattamente il tema di questo libro.
Quanto è stato difficile per lei, come ebreo, criticare Israele?
Ho dovuto disimparare molto di ciò con cui mi era stato fatto il lavaggio del cervello, non solo come ebreo, ma anche come americano, che consuma notizie sui media mainstream. È stato un processo molto lungo. Ma dopo aver visto qual era la realtà, non ho avuto alcuna difficoltà nel raccontare ciò che vedevo, parlandone onestamente. Ha creato problemi nella mia vita personale, ero pronto ad affrontarli.
Ritiene che Israele stia diventando uno stato illiberale?
È così. È uno stato etnonazionale, ed è molto in linea con l’Ungheria di Orban e altri Stati che stanno erodendo i poteri della magistratura. Ma per me, la questione fondamentale è che per sostenere questa argomentazione, bisogna partire dalla premessa, che io non condivido, che Israele sia una democrazia. Credo invece che il modo più obiettivo per descrivere questo posto sia dire che è un singolo Stato, con sette milioni di ebrei e sette milioni di palestinesi. La stragrande maggioranza di questi palestinesi non gode dei diritti civili fondamentali. È un sistema di dominio in cui gli ebrei hanno pieni diritti ovunque vivano e i palestinesi no. Quindi, l’intero dibattito sulla caduta di Israele nell’illiberalismo è vero, ma trascura il punto più importante: qui esiste un unico Stato e non è una democrazia.
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