Niente cessate il fuoco in Ucraina, ma soltanto una pace duratura che tenga conto delle preoccupazioni della Russia. Niente trattative dirette con il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky – leader non «legittimo» per la scadenza del suo mandato – ma solo con il parlamento di Kiev. E, se l’Occidente non crede nelle capacità militari della Russia, che decidesse un obiettivo nella capitale ucraina, e Mosca lo distruggerà con un missile “Oreshnik”, superando qualsiasi difesa i suoi avversari potranno schierare.

Queste, in sostanza, le parole di Putin sul conflitto in Ucraina, pronunciate durante la sua lunghissima conferenza stampa di fine anno, la celebre “Linea diretta”, cerimonia altamente coreografata, iniziata nel 2001 e diventata oggi uno spettacolo di oltre quattro ore in cui il leader russo ha risposto alle domande dei giornalisti e di alcuni “comuni” cittadini.

Tirare sul prezzo

Putin si è rivolto tanto ai suoi cittadini, a cui ha assicurato che dall’economia al conflitto tutto procede secondo i piani, quanto a un’audience internazionale, con un particolare personaggio in mente: il presidente eletto degli Stati Uniti, Donald Trump. Il messaggio del leader russo è che Mosca non penserà nemmeno a sedersi al tavolo dei negoziati se non avrà garanzie di ottenere ciò che vuole. I territori già occupati dell’Ucraina, prima di tutto, e la neutralità del paese: ossia niente Nato né altre garanzie militari.

In questa strategia di “alzare il prezzo” in vista delle trattative, Putin non fa un singolo passo indietro, né concede un’apertura agli avversari. «L’operazione militare speciale avrebbe dovuto iniziare prima», ha detto, utilizzando il termine ufficiale russo per definire l’invasione su larga scala dell’Ucraina. «Non solo ho salvato la Russia», ha proseguito, «l’ho riportata indietro dalla soglia dell’abisso».

Sulla Siria, ha detto che la caduta del regime alleato di Bashar al Assad «non è una sconfitta per la Russia. Abbiamo raggiunto i nostri obiettivi, il nuovo governo siriano è moderato». Sull’economia «l’inflazione è preoccupante, ma la situazione economica generale resta stabile. Consumiamo più carne degli europei». Unica concessione quella che il leader russo ha fatto sull’assassinio del generale Kirillov, ucciso questa settimana in un attentato organizzato dall’intelligence di Kiev. Si è trattato, ha detto, di un «errore dei nostri servizi di sicurezza».
In quasi tutta la conferenza stampa, le uniche parole di aperture Putin le ha riservate per Trump, a cui il leader russo è sempre attento a fare il contropelo: «Non ci parliamo da quattro anni, ma sono pronto a incontrarlo», ha detto Putin. «Siamo pronti a negoziare senza precondizioni». Fatte salve tutte quelle elencate fino a quel momento.

Le mosse di Zelensky

La risposta di Volodymyr Zelensky è arrivata da Bruxelles, dove il presidente ucraino si trova per incontrare i leader europei. Putin «suggerisce un “esperimento” che prevede lanciare un missile Oreshnik su Kiev. Pensate che siano cose che dice una persona normale? Stiamo parlando di psicopatici». «Vladimir Putin è il vero nazista di oggi».

Battute a parte, Zelensky è andato dritto al sodo, elencando, come ha fatto Putin, le sue linee rosse per sedersi al tavolo negoziale. Anche lui esclude una tregua temporanea, il suo paese, dice, ha bisogno di una soluzione permanente: «Non ci sarà cessate il fuoco fino a che non avremo garanzie di sicurezza e non saremo in una forte posizione». Archiviata la questione territoriale, dopo aver ribadito di nuovo questa settimana la sua disponibilità a cedere temporaneamente il controllo dei territori occupati alla Russia, per Zelensky rimane da capire come assicurarsi che un’eventuale fine delle ostilità non sia seguita da una ripresa nel giro di pochi mesi.

Ma quali garanzie possono rassicurarlo? Ancora una volta Zelensky ha chiesto agli alleati di invitare l’Ucraina nella Nato, ma su questo terreno non ha trovato sponde né in Europa né negli Stati Uniti. Nelle discussioni avvenute a Bruxelles, la Francia ha avanzato di nuovo la proposta di schierare una forza di pace lungo la linea di contatto tra russi e ucraini. Un esercito europeo, insomma, in grado di assicurare che qualsiasi eventuale attacco russo sarebbe un attacco non contro l’Ucraina, ma contro paesi membri della Nato. L’operazione, di per sé, sarebbe gigantesca e complicata e potrebbe coinvolgere decine, se non centinaia, di migliaia di soldati europei.

Zelensky ha accolto l’idea favorevolmente: «Apprezzo la proposta francese e chiedo ad altri paesi di unirsi. Potrebbe aiutarci a mettere fine alla guerra». Allo stesso tempo, però, ha chiarito che per lui non è abbastanza. Senza il coinvolgimento degli Stati Uniti, le garanzie europee da sole «non sono sufficienti». Ovviamente, la proposta europea serve proprio ad allettare Trump, proponendogli una soluzione al conflitto che non preveda un abbandono dell’Ucraina, ma che allo stesso tempo non produca ulteriori costi per gli Stati Uniti. Su questo fronte, Zelensky ha provato ancora a rivolgersi personalmente al presidente eletto. Trump è «un leader forte, è importante che sia dalla nostra», ha detto.

Tregua di Natale

Con Russia e Ucraina impegnate a mostrarsi determinate e inflessibili in vista dei probabili futuri negoziati, sembra destinata a cadere nel vuoto la proposta del primo ministro ungherese Viktor Orbán di organizzare una “tregua di Natale”, come quella iniziata spontaneamente dai soldati della Prima guerra mondiale nel 1914, e uno scambio di prigionieri.

Putin ne ha parlato alla conferenza stampa. «Ci penseremo», ha detto, «sentiamo cosa ne dicono gli ucraini». Zelensky invece ha subito bocciato la proposta, definendola una «operazione di pubbliche relazioni» organizzata da un leader politico che ha «rapporti un po’ troppo cordiali con Putin». Secondo Zelensky, questa ipotetica tregua natalizia rischierebbe di trasformarsi nel tanto temuto “congelamento” del conflitto. «L'Ucraina», ha ribadito, «ha bisogno di garanzie di sicurezza».

© Riproduzione riservata