A Murmansk, nell’estremo nord della Federazione, con alle spalle gli abissi russi del mare di Barents e il sottomarino nucleare Arkhangelsk, parla un Putin maximo, presidente atomico.

Si rivolge ai suoi cittadini che lo guardano in tv, ma anche agli occidentali che lo ascoltano da lontano: vuole un’«amministrazione transitoria» sotto egida dell’Onu per l’Ucraina che ha colpito a morte nel febbraio 2022. Richiede a Kiev di mandare via Zelensky: ovvero di tenere «elezioni democratiche, per portare al potere un governo capace, che goda della fiducia del popolo».

E solo dopo «avviare i negoziati per un trattato di pace, per firmare documenti legittimi che saranno riconosciuti in tutto il mondo» (le parole esatte le ha riportate l’agenzia Tass).

Lodi a Trump

La nuova lista di richieste di Mosca arriva solo un giorno dopo il summit dei volenterosi all’Eliseo: il presidente russo si dice pronto a discuterla con «Stati Uniti, anche con i paesi europei e, naturalmente, con i nostri partner e amici». È pronto anche a collaborare con «l’incoerente» Unione europea che costantemente «prende in giro» la Russia.

Parla prima accanto al lanciamissili, poi dall’interno delle sue sale, davanti a una tazza di tè, un tavolo bianco, in mezzo alle tute blu dei marinai rasati che lo guardano con gli occhi sgranati. Si vanta delle sue truppe che «detengono l’iniziativa strategica» sul campo: «La Russia gradualmente, ma con perseveranza e fiducia, è indirizzata verso il raggiungimento degli obiettivi».

Ma Putin lascia comunque la porta socchiusa alla tregua: sì a una soluzione pacifica, «ma non a nostre spese». Spera, confessa, di non fare errori «a causa di un’eccessiva fiducia nei cosiddetti partner»; dice di riporla soprattutto nell’omologo che siede alla Casa Bianca: Trump «vuole sinceramente mettere fine al conflitto in Ucraina» dove è in corso «un conflitto complesso». Ribadisce vecchie posizioni ben note: «Non è la Russia che ha iniziato la guerra», ma è stata costretta, armata, a rispondere per mettere fine al conflitto scoppiato nel 2014.

Sul Cremlino è piovuto subito un coro di no, da Bruxelles a Kiev. Ha detto no subito Berlino: il governo tedesco «respinge categoricamente» l’ipotesi, «non bisognerebbe nemmeno ascoltare la narrazione russa» che delegittima Zelensky.

Boccia la proposta e spalleggia la legittimità del presidente ucraino anche la Commissione europea: Paula Pinho, la portavoce, ha ricordato che «Putin è un criminale». Prima di tutti è stata l’Ucraina a respingere la proposta di un governo provvisorio: il mandato Zelensky è scaduto a maggio 2024, ma la legge marziale in vigore vieta di indire nuove urne a guerra in corso.

L’ultimo piano di Putin è solo un pretesto per prendere tempo, secondo Andry Kovalenko, a capo del centro per la sicurezza e lotta alla disinformazione.

Putin fa tutto ciò che può «per ritardare e ostacolare qualsiasi processo verso la pace, perché non ha interesse a mettere fine alla guerra», è un diversivo per affossare i negoziati che procedono però molto più lenti dell’avanzata delle truppe russe sul campo nel Donbass. Anche la Casa Bianca ha detto no all’Onu in Ucraina: a scegliere governo e presidente saranno gli ucraini.

Putin – che è quasi certo di poter vincere tutto con la sua capacità d’attesa sul campo diplomatico, quando su quello bellico – la richiesta di un’amministrazione provvisoria non l’aveva menzionata nemmeno a Trump durante il loro ultimo colloquio telefonico: il portavoce del Cremlino Peskov è stato costretto a specificarlo in seguito. E che Putin voglia ritardare la firma definitiva sul documento che farà cessare il conflitto l’ha capito anche Trump, che ha detto ai microfoni dell’emittente destrorsa Newsmax che la stessa tecnica di procrastinazione, per anni, l’ha usata anche lui nella sua precedente vita da businessman.

Fil rouge con Erdogan

Mentre l’Ue si divide su truppe e aiuti da inviare al fronte, i russi non rimangono soli. La comunicazione con Ankara continua: di «questioni relative all’ulteriore sviluppo della cooperazione Russia-Turchia, reciprocamente vantaggiosa» e navigazione sicura sul Mar Nero hanno discusso al telefono Erdogan e Putin; continua pure la cooperazione con la sodale Pechino: atteso il capo della diplomazia cinese Wang Yi la prossima settimana al Cremlino.

La storia secondo Medvedev

Nonostante il cessate il fuoco energetico promesso solo qualche giorno fa all’ultimo incontro triangolato dagli Usa in Arabia Saudita, continua a colare fuoco sul campo, con una parte che accusa l’altra di averlo violato.

Gli ucraini, certi solo dell’incertezza che s’avvita, accusano i russi di nuovi attacchi a Poltava con droni Shahed. La stazione del gas a Sudzha, secondo Mosca, è stata distrutta dagli ucraini con razzi Himars. Se l’Ucraina «non rispetta il divieto» di attacchi alle infrastrutture energetiche allora, ha detto Peskov, anche «la parte russa si riserva il diritto di non rispettarlo».

Anche questo ping pong di minacce, mentre il tempo scorre, gioca a vantaggio russo. Marco Rubio, segretario di Stato americano, ha ammesso che mancano «progressi tecnici» per la tregua; si sono raggiunti invece quelli per l’accordo dello sfruttamento di minerali e terre rare che sta per essere ultimato, e tutto a vantaggio di Washington. Il sempre fumante ex presidente russo Medvedev non ha evitato di commentare: «Se il regime di Kiev lo approva», Zelensky e la sua squadra «saranno impiccati a Maidan come Mussolini. Se lo rifiuta, gli Usa ripristineranno il regime di Bandera. Scacco matto».

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