I Grandi ammettono le disuguaglianze globali in fatto di vaccini ma non cambiano rotta e propongono le solite soluzioni, fallimentari finora. Quanto al clima, l’obiettivo è «la metà del secolo»: non 2060 ma neppure 2050. Una mezza via. Ecco la bozza finale di un G20 che non fa la rivoluzione
Non è un G20 rivoluzionario, nonostante gli annunci in pompa magna. Abbiamo potuto leggere una versione finale di bozza della dichiarazione, che quindi potrà differire da quella definitiva in qualche dettaglio.
La premessa
Crescita inclusiva e sostenibile, e un tema dominante: la necessità di superare la crisi pandemica. Come? «Sottolineando il ruolo cruciale del multilateralismo, siamo d’accordo di irrobustire la nostra risposta comune alla pandemia e aprire la strada a una ripresa globale, attenta ai più vulnerabili». Stando alla premessa, i G20 annunciano di aver trovato un accordo «per misure decisive a supporto dei paesi più in difficoltà con la pandemia» e anche su «una visione comune per combattere il cambiamento climatico». Ma è davvero così? Cosa hanno deciso in concreto?
Il paragrafo sulla salute (e i vaccini)
La sospensione dei brevetti rimane fuori dalla dichiarazione, e il tema stesso della proprietà intellettuale continua a essere un tabù, una parola impronunciabile per un nocciolo di paesi più ricchi. Gli annunci contenuti nella dichiarazione confermano la strada già avviata: «Reiteriamo il nostro supporto a tutti i pilastri di ACT-a, compreso Covax». Sistemi finora utilizzati in modo insufficiente e fallimentare. «Supportiamo l’estensione del mandato ACT-a per tutto il 2022» e la formazione della task force multilaterale dei leader sul Covid.
A parole il testo dice: «L’immunizzazione da Covid è un bene comune globale», e i 20 promettono passi «per aiutare a fare progressi nell’obiettivo globale di vaccinare almeno il 40 per cento della popolazione in ogni paese entro la fine del 2021 e il 70 per cento entro metà 2022», come da raccomandazione Oms. Concretamente? Niente di nuovo rispetto agli annunci già fatti in passato.
Rafforzeremo le strategie globali per supportare ricerca e sviluppo e assicurare la produzione e l’equa distribuzione in ttto il mondo, rafforzando anche la catena di fornitura, espandendo e diversificando la capacità di produzione manufatturiera globale a livello locale e regionale».
Anche se c’è una solidarietà dichiarata, è in linea con quanto già visto finora: i governi promettono di spingere gli accordi di licenza volontari tra le aziende farmaceutiche e i paesi che ne hanno bisogno. Finora tutto questo non ha portato rivoluzioni copernicane. Ad ogni modo i Venti scrivono che: «Supporteremo l’aumento della capacità manifatturiera oltre che della distribuzione, compresi hub per il trasferimento tecnologico in varie aree, come avvenuto di recente in Sud Africa, Brasile, Argentina». Poi l’appello a «settore privato e istituzioni finanziarie multilaterali», una richiesta di aiuto – strada ben diversa da quella di una pretesa di impegno e di vincolo alle aziende da parte dei governi. L’impegno è semmai quello di coinvolgere le istituzioni finanziarie perché aiutino a pagare le dosi alle aziende.
I governi decidono di attivarsi anche per un riconoscimento reciproco dei diversi tipi di vaccini, per la lotta alla disinformazione e un impegno per corroborare la fiducia dei cittadini verso la vaccinazione.
La vera novità tra le righe
Nella sezione sulla salute si trova anche un riferimento esplicito a un tema tutt’altro che pacifico, in un G20 dove siedono ad esempio la Turchia che aveva abbandonato la Convenzione di Istanbul e la Russia antiabortista di Vladimir Putin. La bozza finale dice: «Riaffermiamo l’importanza di assicurare la continuità dei servizi sanitari non solo Covid, rafforzare i sistemi sanitari nazionali, i servizi di cura, alla luce anche delle ripercussioni di covid su salute mentale e benessere, visti isolamento, disoccupazione, insicurezza alimentare e violenza crescente contro donne e ragazze». Qui il passaggio: «Compresi i servizi che riguardano la salute sessuale e riproduttiva, con particolare attenzione alle donne e alle ragazze e alle necessità delle categorie più vulnerabili».
Il tema caldo del clima
«Ci impegniamo a rafforzare le azioni per invertire la rotta di fronte al crollo della biodiversità entro il 2030». L’obiettivo di riduzione delle emissioni però non si assesta sul 2050 ma su un vago riferimento alla «metà del secolo», quindi soluzione di compromesso rispetto a quella, peggiorativa, del 2060. «Accelereremo le nostre azioni di mitigazione, adattamento e finanziamento, riconoscendo la rilevanza cruciale di raggiungere a livello globale l’azzeramento delle emissioni di gas a effetto serra o la carbon neutraliy by or around mid-century», entro o all’incirca attorno la metà del secolo. C’è bisogno di rafforzare gli sforzi globali per raggiungere gli obiettivi dell’accordo di Parigi, concordano testualmente i leader. Ma questo era già chiaro, gli accordi già presi, mentre manca una chiara roadmap su come correre ai ripari sugli errori e mancanze pregressi. Si dice ad ogni modo che «ci impegniamo, tenendo conto sia degli sviluppi scientifici più recenti che delle circostanze nazionali, a intraprendere ulteriori azioni in questo decennio e a formulare, implementare, aggiornare» i contributi promessi stabiliti a livello nazionale (NDC) e a formulare strategie di lungo termine che indichino «strade chiare e percorribili».
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