Lo stato indiano ha 595 chilometri di coste: in tanti vivono di pesca o coltivando riso. L’aumento dei livelli degli oceani lascia prevedere nuove crisi in una zona tanto vulnerabile
Le case sparse dei pescatori e dei coltivatori di riso vicine alla costa meridionale del Kerala sono sempre più spesso invase dall’acqua. «Qui il cambiamento climatico si vede», constata Renju, un infermiere appassionato di natura e di fauna locale che guida i turisti in passeggiate naturalistiche alle spalle del porto di pescatori di Chellanam.
Siamo una ventina di chilometri a sud di Kochi e anche la casa di Renju, che vive con la moglie e un figlio di dieci anni, fu sommersa nell’estate del 2018, quando l’area dei canali navigabili fu colpita da devastanti inondazioni che provocarono oltre 500 vittime. Da allora, “l’acqua alta” è un fenomeno quotidiano anche durante quella che sarebbe la stagione asciutta, durante i primi mesi dell’anno e gli abitanti della zona si muovono quasi esclusivamente in barca: le strade e i percorsi pedonali sono inutilizzabili per gran parte della giornata.
L’agricoltura
Delle due principali fonti di reddito degli abitanti della zona, il riso e la pesca, la seconda sta soppiantando la prima: le risaie risentono dei continui innalzamenti dell’acqua e i contadini vendono i terreni che vengono riconvertiti in riserve di pesca, un’attività che garantisce maggiori profitti. In 40 anni, dal 1980 al 2020, la superficie di terreno dello stato destinata alla coltivazione del riso si è ridotta drasticamente da oltre 800 mila ettari a meno di 200 mila, secondo i dati ufficiali.
Il Kerala, uno dei 28 stati dell’India, ha 595 chilometri di coste e oltre un milione dei suoi 36 milioni di abitanti vive di pesca, che rappresenta circa il 3 per cento del reddito dello stato. Ma i pescatori si lamentano di non essere considerati quando si discute di lotta al cambiamento climatico: eppure, con le loro caratteristiche reti da pesca cinesi, Cheenavala nella lingua locale, il Malayalam, contribuiscono alla sicurezza alimentare dei loro concittadini. Già al tempo della pandemia non sono stati tutelati con compensazioni, pur essendo considerati lavoratori essenziali. Ora l’aumento dei livelli degli oceani e l’imprevedibilità del meteo lasciano prevedere nuove crisi in una zona costiera e paludosa tanto vulnerabile.
Anche se l’area è impraticabile per una parte dell’anno, l’accoglienza turistica si sta espandendo nella zona delle paludi a sud di Kochi, grazie alla fama dei meravigliosi tramonti sulle “backwaters” da vedere dalla barca e all’espansione dei “centri ayurvedici” sempre più richiesti dai turisti occidentali ma anche dai giovani indiani delle classi medio-alte che li prediligono per la loro luna di miele al sud. A essere maggiormente soggetto al fenomeno delle inondazioni è oltre un quarto del territorio dello stato, dove abita quasi il 20 per cento dei 36 milioni di abitanti keralesi. Alle spalle della zona paludosa ci sono però aree montuose e più fresche, sui Ghati occidentali, dove fra l’altro si coltiva il tè.
Ma l’estate scorsa, ad essere devastata dalle frane in seguito a un monsone particolarmente intenso è stata proprio la regione montuosa del Wayanad, nel nord del Kerala: anche in questo caso sono morte centinaia di persone. Secondo un’analisi del World Weather Attribution, le precipitazioni di quel 30 luglio 2024 sono state le terze più intense mai registrate nello Stato, persino superiori a quelle delle tragiche inondazioni del 2018. Gli studiosi hanno stimato che per effetto dell’aumento delle temperature, che in questa regione del sud sono quelle di un clima monsonico-tropicale, le precipitazioni estreme di un solo giorno potrebbero aumentare ulteriormente del 4 per cento. Ogni anno il caldo arriva un po’ prima: nel 2025, già in febbraio, in anticipo di almeno un mese, le autorità locali hanno diffuso allarmi raccomandando ai lavoratori agricoli di andare nei campi solo nelle primissime ore del giorno o dopo il calar del sole per evitare i picchi di 38 gradi previsti in quelle centrali.
Condannati
Renju non si fa illusioni: «Fra cinque anni», prevede senza abbandonare il sorriso che continua a illuminarlo anche quando parla degli scenari più catastrofici, «tutte queste case intorno alle paludi non ci saranno più». Questa parte costiera dell’India è fra quelle condannate dal riscaldamento globale e dall’innalzamento degli oceani, in questo caso il mar Arabico, non meno dei non lontani atolli delle Maldive e dei remoti arcipelaghi del Pacifico.
Se oggi il Kerala, la regione con il tasso di alfabetizzazione più alto del subcontinente (oltre il 96 per cento), non è più «la più povera regione dell’India» che descriveva Pier Paolo Pasolini nel 1961, aggiungendo però che era «nel tempo stesso la più bella e la più moderna» durante il suo viaggio con Alberto Moravia ed Elsa Morante, i suoi abitanti continuano ad emigrare.
Molti, come Renju, hanno studiato da infermieri nel vicino Tamil Nadu o nelle rinomate scuole di Kochi ma scelgono di andare ad esercitare il mestiere nei “dirimpettai” paesi del Golfo, ma anche in Europa, privilegiando Regno Unito e Irlanda per ragioni linguistiche.
La politica locale
In Kerala non è infrequente imbattersi in bandiere rosse con la falce e il martello: il governo locale è storicamente stato spesso guidato dalla maggioranza comunista e molti dei progressi sociali ottenuti e della civile convivenza fra la maggioranza induista e le cospicue presenze di cristiani (eredità dei primi colonizzatori portoghesi) e islamici vengono attribuiti alla loro buona amministrazione. I successi non sono altrettanto evidenti per quanto riguarda il clima. Un paio d’anni fa, il capo del governo comunista Pinarayi Vijayan, in carica dal 2016, ha presentato una revisione delle politiche sul clima, la cui prima versione risale al 2008.
Il Piano di azione statale del Kerala sul cambiamento climatico 2023-2030 descrive una situazione di vulnerabilità riconosciuta a livello scientifico, prevedendo un ulteriore aumento delle precipitazioni non solo durante la stagione dei monsoni e mettendo in campo risorse e strumenti, da ottenere anche attraverso accordi internazionali.
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