Israele ha annunciato che negli Emirati Arabi Uniti è stato trovato il corpo di Zvi Kogan, un rabbino israelo-moldavo scomparso da giovedì. Il governo di Tel Aviv ritiene che sia stato un omicidio e che si tratti di un episodio di «terrorismo antisemita». Il premier Benjamin Netanyahu ha assicurato che «nessuno degli assassini la farà franca». Ma ha anche sottolineato «la cooperazione degli Emirati Arabi Uniti nell’indagine sull'omicidio. Rafforzeremo i legami tra noi di fronte ai tentativi dall’asse del male per danneggiare il rapporto di pace tra di noi. Li rafforzeremo e lavoreremo per espandere la stabilità regionale».

Parole importanti visto che Zvi Kogan si trovava ad Abu Dhabi proprio da quando Israele ha normalizzato i legami con gli Emirati Arabi Uniti, alla fine del 2020, attraverso i cosiddetti Accordi di Abramo mediati dagli Stati Uniti. Il paese ha mantenuto le relazioni con Tel Aviv anche dopo lo scoppio della guerra tra Israele e Hamas. In serata il ministero dell’Interno emiratino ha annunciato di aver fermato tre persone «responsabili della morte del rabbino».

Kogan lavorava per il gruppo ebraico ortodosso Chabad, che cerca di sostenere la vita ebraica di migliaia di visitatori ebrei e residenti nello stato del Golfo arabo. Il suo corpo è stato trovato nella città emiratina di Al Ain, al confine con l’Oman, anche se, ha detto alla Reuters l’ex politico druso israeliano, Ayoob Kara, non è chiaro se sia stato ucciso lì o altrove.

Di certo, il fatto che Netanyahu abbia subito parlato di assassini e mandanti, ma anche il fatto che, secondo il presidente israeliano Isaac Herzog, «questo vile attacco antisemita ci ricorda l’inumanità dei nemici del popolo ebraico», fa pensare che Israele abbia già individuato i “colpevoli”. E, anche se nessuno si espone apertamente, i media riportano che, secondo i funzionari israeliani, diversi cittadini uzbeki, reclutati dall’Iran, avrebbero aggredito Kogan per poi fuggire in Turchia.

Razzi dal Libano

Intanto Hezbollah ha lanciato 180 razzi verso l’area di Tel Aviv e il nord di Israele in risposta ai durissimi bombardamenti israeliani a Beirut di sabato. Secondo i soccorritori, cinque persone sono rimaste ferite nell’attacco avvenuto intorno alle 13.30 (ora israeliana) nella zona centrale del Paese.

Tel Aviv, dopo aver lanciato due ordini di evacuazione, ha preso di mira la periferia di Beirut, con due violenti attacchi a Kafaat. L’alto rappresentante dell’Ue, Josep Borrell, in visita in Libano, ha cercato di rilanciare la via diplomatica: «La sola via da percorrere è il cessate il fuoco immediato e la piena attuazione della risoluzione delle Nazioni unite».

Si tratta sul nucleare

L’arrivo di Donald Trump alla Casa Bianca sta muovendo qualcosa in Iran. Il viceministro degli Esteri di Teheran, Majid Takht Ravanchi, un veterano della negoziazione nucleare, guiderà una delegazione che venerdì incontrerà, a Ginevra, i rappresentanti di Regno Unito, Francia e Germania.

Ad annunciarlo è stato il portavoce del ministero degli Esteri iraniano, Esmail Baghaei. I colloqui puntano a rilanciare il Jcpoa, l’accordo sul nucleare firmato nel 2015 da Barack Obama ed entrato in crisi solo tre anni dopo con l’uscita unilaterale degli Stati Uniti voluta dall’allora presidente Trump.

Il regime iraniano conta sul disimpegno di Trump in Medio Oriente e sulla sua politica da “zero guerre” per uscire dalla morsa delle sanzioni. Sempre la prossima settimana, il 25 e il 26 novembre, a Fiuggi e Anagni, l’Italia concluderà il suo anno di presidenza del G7 con la riunione dei ministri degli Esteri. Sul tavolo, ovviamente, i due conflitti in corso: quello in Ucraino e quello tra Israele e Hamas.

Sempre da Teheran va segnalato che Alì Larijani, consigliere di Khamenei, ha detto che l’Iran si sta preparando a rispondere ad Israele. Tattica? Possibile. Il regime iraniano dovrebbe aspettare l’insediamento di Trump prima di reagire a Tel Aviv.

Rapporti interrotti

Il governo israeliano ha approvato una proposta del ministro delle Comunicazioni, Shlomo Karhi, che impone a qualsiasi ente finanziato dal governo di astenersi dal comunicare con Haaretz o dal pubblicare annunci pubblicitari sul quotidiano. Ad annunciarlo è stato lo stesso giornale progressista israeliano in un articolo.

«La decisione, secondo la spiegazione del governo, è una reazione a “molti editoriali che hanno danneggiato la legittimità dello Stato di Israele e il suo diritto all’autodifesa, e in particolare alle osservazioni fatte a Londra dall’editore di Haaretz, Amos Schocken, che sostengono il terrorismo e chiedono di imporre sanzioni al governo”» si legge nell’articolo.

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