La Camera ha respinto le richieste del presidente eletto sul testo per garantire i finanziamenti allo stato federale ed evitare la sospensione di tutte le attività non essenziali del governo, che scatta fra venerdì e sabato. Il tycoon è furibondo e vuole scaricare la crisi su Biden. Si continua a negoziare, mentre lo speaker della Camera cerca disperatamente una via per mettere d’accordo tutti. E salvarsi dalle purghe trumpiane
La Camera ha respinto le richieste di Donald Trump. La versione gradita al presidente eletto del disegno di legge per garantire i finanziamenti allo stato federale ed evitare lo “shutdown” (la sospensione di tutte le attività non essenziali del governo federale, che scatta nella notte fra venerdì e sabato) è stata bocciata, con 235 voti contrari e 174 favorevoli. Trentotto repubblicani hanno disobbedito agli ordini che il presidente ha impartito in modo perentorio tramite il più convincente dei suoi trombettieri, Elon Musk.
Alcuni lo hanno fatto perché sono molto più rigoristi del re: non vogliono innalzare il tetto del debito, un passo che nel contesto attuale è necessario per evitare la chiusura dei servizi federali non essenziali. Il testo benedetto da Trump prevedeva l’innalzamento automatico del tetto fino al 2027 e il presidente, in un’ulteriore accelerazione retorica, ha scritto sul social Truth: «Liberiamoci, o estendiamo fino, forse, al 2029, il ridicolo tetto del debito. Senza questo, non possiamo fare un accordo».
Trump ha scaricato anche la crisi sul presidente in carica, Joe Biden: se “shutdown” deve essere, ha detto, è bene che inizi immediatamente, così il problema sarà sulla scrivania dell’attuale inquilino della Casa Bianca.
Trattative convulse
I partiti stanno lavorando freneticamente per trovare una convergenza, ma si procede rapidamente verso la scadenza. Nella giornata di venerdì sono apparse almeno due bozze alternative. La prima finanzia il governo fino a metà marzo, prevede un accordo per un anno sui sussidi all’agricoltura e un fondo da 110 miliardi per i disastri naturali, ma non tocca il tetto del debito. La seconda è un’ipotesi minimalista nota come “continuing resolution”, che finanzia i servizi federali per qualche settimana, estendendo il tempo per negoziare.
Dagli anni Settanta ci sono state una ventina di interruzioni dell’erogazione dei fondi per alcuni servizi federali, e lo “shutdown” più lungo è durato un mese. Era il 2018, durante la presidenza Trump, ed è stata una batosta da 3 miliardi di dollari per l’economia americana. Se si dovesse arrivare allo “shutdown” anche questa volta, il settore che sarebbe più colpito è quello del trasporto aereo, dove ci sono un certo numero di lavoratori considerati non essenziali.
Con l’intenso traffico aereo delle festività, questo produrrà ritardi e disagi in tutto il paese. I lavoratori più colpiti saranno quelli costretti a prestare servizio ma per i quali non è autorizzata l’erogazione dello stipendio, che arriverà soltanto una volta trovato un accordo.
Il nodo è tutto politico, anzi di potere. Trump – presidente eletto e non ancora insediato – ha fatto naufragare il testo su cui c’era già un accordo bipartisan, che era una mostruoso esborso infarcito delle solite mance e marchette scritto in 1.500 pagine che i membri del Congresso avrebbero dovuto studiare in 18 ore. Evidentemente non era una soluzione in linea con il nuovo spirito trumpiano.
Musk si è messo così a dettare la linea al Congresso, martellando ossessivamente su X messaggi intimidatori, mentre Trump minacciava i deputati repubblicani promettendo di non farli rieleggere se avessero osato violare l’ordine di scuderia.
Il Congresso non risponde ai comandi dell’esecutivo (non ancora insediato) e questo è «INACCETTABILE», ha scritto in maiuscolo Musk nell’ennesimo post su X, allegando una mappa dell’esito elettorale, prevalentemente colorata di rosso, ma dimenticando di ricordare che il Congresso in carica è quello eletto due anni fa, non il mese scorso.
Lo speaker in pericolo
Chi è più in pericolo in questo dibattito è lo speaker della Camera, Mike Johnson, che chiaramente non sta riuscendo a governare il gruppo al Congresso. E soprattutto non è riuscito subito a portarlo dove indicava Trump.
È ancora possibile che Johnson, che in questo momento è il punto ove si scarica tutta la pressione di Washington, se ne esca con un testo che mette d’accordo tutti, ma per il momento la sua posizione è molto fragile, e poiché nel mondo di Trump ogni passaggio politico è un test di fedeltà, lo speaker ha ragione di temere per la sua posizione nel medio periodo.
Johnson è stato eletto lo scorso anno dopo il colpo di mano dei deputati trumpiani, che hanno messo in minoranza e fatto fuori Kevin McCarthy, un repubblicano di rito tradizionale. Il tycoon avrebbe voluto un suo fedelissimo pretoriano, ma la manovra non è riuscita e ha dovuto ripiegare su una figura di raccordo, promettendo che ne avrebbe saggiato la lealtà nei momenti più delicati. Ed ecco che il momento delicato è arrivato.
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