Martedì 1° ottobre centinaia di voli in transito dagli aeroporti del Belgio sono stati cancellati a causa dello sciopero del personale che si occupa di pulizie, sicurezza e catering. E questa è solo l’ultima di una lunga serie di manifestazioni di lavoratori. Qualche settimana fa in migliaia hanno portato il caos a Bruxelles bloccando le strade intorno al parlamento europeo, in una manifestazione per mostrare solidarietà ai dipendenti di una fabbrica di auto elettriche della Audi che rischia la chiusura.

Oltre cinquemila dimostranti provenienti da tutto il Belgio e da luoghi più lontani come Germania, Italia e Ungheria si sono radunati alla stazione ferroviaria di Bruxelles Nord, prima di marciare verso i palazzi delle istituzioni europee brandendo cartelli a sostegno della fabbrica e chiedendo la fine del dumping cinese sui prodotti industriali. I sindacati belgi hanno indetto uno sciopero nazionale, ostacolando i trasporti pubblici, mentre la polizia si preparava a contenere i manifestanti con agenti antisommossa, barricate e idranti.

La marcia di due settimane fa – che si è conclusa senza incidenti – è solo l’ultimo segnale dei timori degli europei di perdere le industrie in cui lavorano, il paradosso di un continente che cerca di accompagnare il mondo verso la transizione verde mentre viene indebolito dai concorrenti stranieri proprio in quei settori. La fabbrica Audi nel quartiere Forest di Bruxelles è un simbolo di queste preoccupazioni, poiché rappresenta la dimostrazione che in Europa ormai neanche un impianto che produce esclusivamente veicoli elettrici può sentirsi al sicuro. L’industria automobilistica europea sta tremando di fronte alla concorrenza straniera.

L’arrivo dei veicoli elettrici cinesi sul mercato comunitario preoccupa i produttori di un segmento destinato a crescere a scapito degli altri. La casa madre della Audi, la Volkswagen, ha annunciato chiusure in Germania per la prima volta in 87 anni di storia aziendale. Tutti questi fattori hanno portato i manifestanti a sostenere che la risposta non può che essere comunitaria. «Chiediamo all’Unione europea di mettere in campo politiche industriali che diano ai lavoratori delle risposte che guardano al futuro, perché crediamo che nessuno potrà cavarsela da solo rispetto alle sfide che abbiamo di fronte», ha detto Maurizio Reggia, rappresentante di Fiom-Cgil intervistato per strada da Euronews.

La presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha promesso un “Clean Industrial Act” entro i primi cento giorni del suo secondo mandato, che avrà lo scopo di supportare la decarbonizzazione dei settori ad alte emissioni, ma facendo in modo che restino a produrre in Europa. Tuttavia, è uno di quei proclami già sentiti tante volte in questi anni, e non è chiaro se questo ennesimo progetto dalle grandi ambizioni sarà poi supportato da un significativo sostegno finanziario.

La Commissione sta anche pianificando di imporre tariffe sui veicoli elettrici fabbricati in Cina, dopo che un’indagine ha concluso che queste imprese beneficiano ingiustamente di sussidi statali e che le industrie cinesi stanno inondando l’Europa con la loro produzione in eccesso. Allo stesso tempo però quasi non esiste stato membro che non stia cercando di diventare la sede di un impianto di produzione di una casa automobilistica cinese, in particolare della Byd, dalla Spagna all’Ungheria passando per la Francia e l’Italia.

L’ex presidente della Banca centrale europea Mario Draghi ha presentato il suo piano, in cui chiede all’Ue di investire fino a 800 miliardi di euro all’anno per affrontare la «sfida esistenziale di mantenere la competitività europea rispetto ai rivali», sottolineando che, se non sarà fatto, l’Europa è destinata a una «lunga agonia». Nel frattempo, le organizzazioni imprenditoriali aumentano le loro richieste, chiedendo all’Ue di ridurre la burocrazia e rendere il costo dell’energia molto più economico.

La lobby dell’automotive in particolare sta chiedendo a Bruxelles di ritardare di due anni gli obiettivi sulle emissioni del 2025, con la Volkswagen nella posizione peggiore tra i produttori di auto europei per la conformità a tali regole. Mercoledì la premier Giorgia Meloni è intervenuta all’assemblea di Confindustria, conquistando la platea con la condanna alle regole Ue sul settore dell’auto e con l’impegno a «correggere il Green Deal».

La città di Bruxelles si è già trovata al centro dei disordini innescati dagli obiettivi della transizione verde. Negli ultimi mesi migliaia di agricoltori hanno bloccato la capitale del Belgio e dell’Ue con i loro trattori, protestando contro una regolamentazione ambientale considerata punitiva, nonostante il settore dell’agricoltura sia il più sussidiato dalle politiche comunitarie. Von der Leyen ha risposto mettendo da parte alcune regole e avviando i cosiddetti «dialoghi strategici con il settore».

Trovare un modo per attuare i suoi obiettivi verdi mantenendo dalla sua parte i principali settori economici è una delle sfide principali del suo nuovo mandato. «Ci vuole uno sforzo per abbandonare le nostre vecchie abitudini, ci vuole coraggio per navigare in acque inesplorate!», ha detto Von der Leyen.

Ma per ora a navigare nelle acque inesplorate sono solo i lavoratori, che rischiano di perdere tutto senza che venga offerta loro una reale alternativa.

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