Un report di Amnesty International ha rivelato i casi di decine di morti civili in diversi raid statunitensi o in attacchi condotti dalle forze afgane addestrate dagli Usa
L’Afghanistan non era un posto sicuro nemmeno prima del ritorno al potere dei talebani, avvenuto il 15 agosto scorso. Lo conferma un report di Amnesty International intitolato “Senza scampo: crimini di guerra e sofferenze dei civili prima della caduta dell’Afghanistan nelle mani dei talebani”.
Il rapporto documenta torture, esecuzioni sommarie e violenze, mostrando come – da parte dei talebani – si siano intensificate nell’ultima parte del conflitto. Racconta anche, però, come le stesse forze di sicurezza afgane e i militari statunitensi abbiano commesso numerose violenze e attacchi contro la popolazione civile.
Il report è il risultato di ricerche sul campo condotte prima a Kabul dal 1 al 15 agosto 2021, e poi da remoto dopo la presa dei talebani. In tutto sono state intervistate 101 persone in dieci province del paese – per le interviste da remoto è stato utilizzato un sistema criptato. Sono stati inoltre raccolti video, foto, immagini satellitare, informazioni mediche e balistiche.
Il rapporto esamina casi individuali, inevitabilmente parziali rispetto alla totalità dei crimini commessi, vista anche l’impossibilità di continuare la ricerca sul campo e talvolta di comunicare con gli afgani, specie nelle zone rurali, dove gli afgani hanno tagliato le linee telefoniche e limitato l’accesso a Internet.
L’Unama, la missione di assistenza delle Nazioni unite in Afghanistan, ha riferito che nei primi sei mesi del 2021 sono stati uccisi 1659 civili e altri 3524 sono rimasti feriti, il 47 per cento in più rispetto al 2020.
«I mesi che hanno preceduto il collasso del governo di Kabul sono stati segnati da ripetuti crimini di guerra e da bagni di sangue senza sosta» ha dichiarato Agnès Callamard, Segretaria generale di Amnesty International. «Case, ospedali, scuole e negozi sono stati trasformati in scene del crimine dove civili sono stati ripetutamente feriti e uccisi».
Le rappresaglie talebane
Il report mostra come i talebani abbiano portato avanti già dagli ultimi giorni del conflitto rappresaglie contro le minoranze etnico-religiose e contro chi era sospettato di aver aiutato Stati Uniti e truppe Nato nei vent’anni di occupazione.
Il 6 settembre i talebani hanno attaccato la città di Bazarak, nella provincia del Panjshir, storica roccaforte della resistenza contro gli studenti coranici dall’epoca di Ahmad Shah Massoud, ex combattente dell’Alleanza del nord. Dopo una breve battaglia, i talebani hanno catturato 20 uomini trattenendoli per due giorni all’interno di gabbie per uccelli. «Ci tenevano sottoterra. Quando chiedevamo cure mediche per i feriti, dicevano “Lasciamoli morire”. Quando chiedevamo acqua, rispondevano “Dovete morire di sete”», ha raccontato un sopravvissuto citato nel rapporto di Amnesty.
Il 30 agosto hanno ucciso 13 afgani di etnia hazara, tra cui una ragazza di 17 anni che ha tentato di scappare, nel villaggio di Kahor, situato nella provincia di Daykundi. Nel villaggio c’erano nove ex soldati che si erano arresi ai talebani e avevano consegnato le armi. Sarebbero stati portati sulla riva di un fiume e fucilati.
Gli errori delle forze afgane
Diversi civili sono stati uccisi negli scontri tra talebani e forze afgane mentre si verificava l’avanzata dei primi nel paese l’estate scorsa. «Attraverso una combinazione di negligenza e disprezzo per il diritto – racconta Amnesty – le forze di sicurezza afgane addestrate dagli Usa erano solite lanciare attacchi coi mortai contro le abitazioni e i civili che cercavano di trovare riparo». Nella città di Kunduz, nel giugno 2021, la battaglia è stata particolarmente violenta.
Le forze governative hanno colpito coi mortai il quartiere di Zakhail, mentre i talebani avanzavano requisendo scuole e moschee per lanciare attacchi, entrando nelle case e chiedendo cibo alle famiglie povere che non riuscivano a scappare. Un frammento metallico staccatosi da mortaio caduto in una casa si è incastrato nella spina dorsale di una ragazza di 12 anni, Manizha. È morta dopo una settimana.
Le vittime civili causate dagli Stati Uniti
Amnesty ha documentato però anche le uccisioni di civili commesse dalle forze afgane e statunitensi. L’ong ha riportato quattro attacchi aerei – tre dei quali si ritengono compiuti dalle forze statunitensi, e uno da quelle afgane – che hanno ucciso 28 civili (15 uomini, cinque donne e otto bambini) e ne hanno feriti sei.
«Stavo dormendo quando è arrivata la prima bomba – ha raccontato una bambina di nove anni, superstite dell’attacco – mio padre mi ha chiesto di cercare il mio fratellino. La seconda bomba ha ucciso mia madre, mia sorella, mia zia e mio zio». L’attacco è avvenuto il 9 novembre 2020. Le bombe hanno ucciso cinque civili, tra cui un neonato di tre mesi, e ferito altri sei componenti di una famiglia a Khanabad, nella provincia di Kunduz. Il report ritiene che «con ogni probabilità» l’attacco sia stato compiuto da forze statunitensi.
C’è poi il famigerato attacco del 29 agosto 2020 a Kabul, quando un drone Usa ha ucciso dieci persone, tra cui sette bambini, scambiandoli per terroristi dell’Isis Khorasan. In seguito, le forze statunitensi hanno ammesso che si trattava di civili, ma due giorni fa il pentagono ha detto che nessuno dei militari coinvolti subirà «alcun tipo di punizione» per l’attacco.
A seguito della presa dell’Afghanistan da parte dei talebani, il Tribunale penale internazionale ha deciso di togliere priorità alle indagini sulle operazioni militari delle forze statunitensi e afgane. Per Callamard l’istituzione dovrebbe rivedere la sua decisione. «Il Tribunale – ha detto – dovrebbe cercare le prove di tutti i possibili crimini di guerra, a prescindere da chi li abbia commessi».
Riparare agli errori
«Talebani e alle forze Usa – conclude Callamard – dovrebbero inoltre adempiere ai loro obblighi internazionali istituendo meccanismi cui i civili possano rivolgersi per chiedere riparazioni per i danni subiti durante il conflitto».
L’inadempienza statunitense non si ferma solo all’Afghanistan. Il rapporto denuncia che anche in Iraq, Siria, Yemen e Somalia gli Stati Uniti «non sono stati all’altezza del compito di proteggere i civili e fornire loro equi risarcimenti in caso di danni». Nel novembre scorso, un’inchiesta del New York Times rivelò l’insabbiamento da parte degli Usa di un raid militare che uccise 50 civili in Siria. Nessuna indagine indipendente è mai stata condotta sull'accaduto.
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