- Il conflitto del 2003 in l’Iraq fu costruito sulla menzogna (le armi di distruzione di massa): un altro schiaffo alla fiducia dei cittadini nelle istituzioni
- La guerra al terrorismo, con le sue implicazioni interne, ha diminuito la sensibilità democratica globale e amplificato la spirale autodistruttrice. Siamo divenuti tutti più insicuri e più diffidenti nei confronti di chi è diverso o distante
- Questo articolo si trova sull’ultimo numero di POLITICA – il mensile a cura di Marco Damilano. Per leggerlo abbonati o compra una copia in edicola
Un anno di guerra. Come sono cambiate l’Italia e l’Europa? In questi 12 mesi ci siamo abituati a qualcosa di non previsto: il ritorno della grande guerra europea, quella che travolge tutto. Storicamente un conflitto europeo può incendiare il mondo. L’ha fatto già due volte papa Francesco ne vede una terza, a pezzi, che si materializza davanti ai nostri occhi.
Fronti moltiplicati
Sono tanti i fronti di questa guerra e si moltiplicano. Come per il conflitto in ex Jugoslavia, la sensazione è di una battaglia che ricomincia dopo una lunga stasi: guerra ininterrotta che riprende. Figli e nipoti starebbero riprendendo laddove padri e nonni si erano fermati. È un falso ovviamente. Non c’è nulla di ineluttabile in una guerra: si tratta di scelte politiche e le generazioni che si succedono non sono condannate a ripetersi.
Ma il metodo mimetico della guerra cerca di indurci un pensiero unico: la guerra è inevitabile ed è sempre presente perché fa parte della vita ordinaria delle nazioni.
Narrazione bellicista
Pare svanito il sogno europeo di confini transitabili in pace. La Russia starebbe riprendendo la sua politica naturale: aggredire l’Europa e divorarla. A leggere i commenti dei media e talk show, si rileva un mainstream ideologico: spiegare questa guerra mediante la metastoria della rana e dello scorpione.
Secondo tale narrazione, l’Europa – debole – avrebbe ingenuamente tenuto la Russia sulle proprie spalle ma quest’ultima l’avrebbe colpita (contro ogni logica) a costo di affondare entrambe.
È la sua natura, ci dicono i soloni, l’avevamo detto, era previsto, colpa vostra di non esservi preparati per tempo, doveva accadere sicuramente…e così via. Ecco come siamo cambiati: ci siamo risvegliati come da un lungo “sonno debole e pacifista” per riscoprirci in guerra, con sentimenti bellicisti passati per normali, a discutere di armi come fossero elettrodomestici. C’erano stati dei tentativi precedenti, come la grande narrazione del nemico islamico (altro nemico storico dell’Europa) con le guerre d’Iraq, di Siria e la minaccia iraniana.
Lo storytelling bellicista non considera né storia né politica: tutto avviene a causa della “natura” del nemico. Tale costruzione si regge su un’interminabile esposizione vittimistica degli eventi: l’Europa e l’occidente sarebbero vittime – senza colpa – di eterni nemici. Politici e militari europei descrivono ciò che sta accadendo come una lotta perenne tra “erbivori e carnivori”, dove questi ultimi sono oggi i russi, mentre ieri erano i musulmani e domani i cinesi.
Una questione di essenza appunto: i russi non possono che essere aggressori e nemici della democrazia, la loro cultura lo dimostra, coprendo da sempre un animo prevaricatore che vuole ingoiarci. Per questo la si vuole cancellare. Nella narrazione vittimistica la sola colpa degli occidentali è di essere stati dei naif, sedotti dall’aggressore che andava fermato prima.
La guerra in Ucraina sarebbe un risveglio che rende consapevoli di essere accerchiati da nazioni violente e guerriere nemiche giurate dei nostri valori, con cui non è possibile dialogare.
Tutti si sentono assediati
Senza nulla togliere alle responsabilità russe, tale ricostruzione è perlomeno incompleta. La cosa più grave del racconto vittimistico è la sua intrinseca violenza: d’altronde da parte di Mosca se ne fa uno speculare, quello di una Russia a rischio di essere invasa, accerchiata da eterni nemici, subendo umiliazioni ecc. La Cina fa lo stesso racconto: vittima dell’accerchiamento, senza reale sbocco agli oceani. Il paradosso è che tutte le potenze si sentono sotto assedio… Vittimismi che si scontrano divengono micidiali e sono il carburante per una guerra senza fine. È già successo e accadrà di nuovo, a meno di uscire dal solipsismo egoistico del nazionalismo.
Crisi dell’Unione
Ecco perché occidentali, europei e italiani (ma anche russi e cinesi ecc.), stiamo insensibilmente mutando coscienza: sentirsi vittime lava da ogni responsabilità, cela tutti gli errori e soprattutto – per noi europei – cancella l’incapacità a costruire una vera Unione.
L’Europa torna ai suoi antichi demoni: il nazionalismo “sangue e terra” che pare non essere mai scomparso dalle coscienze. Ogni nazionalismo europeo è sempre stato foriero di grandi mali; i nazionalismi europei – russo incluso – hanno suicidato l’Europa.
I 66 anni di costruzione europea – oggi derisi e vilipesi – non sono stati ancora sufficienti a far comprendere che soltanto assieme si costruisce il futuro. Lo spirito del tempo è contrario: denuncia l’Europa come una perdita di tempo e le “nazioni sovrane” come unico riparo in epoche difficili, dimenticando il loro pessimo esito.
Il gorgo
In questa guerra in Ucraina, la Russia è caduta nel gorgo del vittimismo storico, emergendone snaturata quale criminale aggressore. Nella propaganda sembra che il valore assoluto sia la terra e non il sangue sparso: è l’antico fondo pagano che riemerge in cui la vita non vale nulla ma solo contano i sacrifici umani. Tutti si scandalizzano se solo si accenna allo scambio terra per pace… una fissazione sulla terra che vale più della vita. Ecco perché il vero problema è la guerra stessa: non il nemico ma la guerra che lo deturpa. La guerra deforma l’anima dei popoli, di chi la inizia e di chi la subisce.
La guerra perpetua in medio oriente, iniziata subito dopo la seconda guerra mondiale e proseguita in vari capitoli, ha deformato i popoli coinvolti: arabi, israeliani, iraniani, europei, afghani, americani, russi. In un bel libro intitolato Spirale (Spiral), lo scrittore newyorkese Mark Danner spiega come la guerra permanente combattuta su vari fronti senza interruzione, ha cambiato gli Usa rendendoli più violenti e più accettabile l’uso delle armi, sdoganando la tortura, i rapimenti (le cosiddette renditions) e le detenzioni illegali (Guantanamo).
In definitiva la guerra che si eternizza ha ridotto in America la fiducia nelle istituzioni pubbliche proprio perché queste ultime hanno iniziato a legittimare l’uso di tali mezzi illegali. A furia di bellicismo qualcosa si è rotto nella democrazia americana e i complottisti della destra suprematista sono stati giustificati nei loro incubi guerrafondai.
Menzogna e diffidenza
È noto che il conflitto del 2003 in l’Iraq fu costruito sulla menzogna (le armi di distruzione di massa): un altro schiaffo alla fiducia dei cittadini nelle istituzioni. Si giunge così all’assalto al Campidoglio e al rifiuto delle istituzioni: oggi si può essere complottisti senza vergogna perché lo stato ha mentito molto di più e molto prima.
La rottura della fiducia dentro la società e l’inizio del vortice populista è frutto di tale ingranaggio, anche in Europa e prima in Russia e così via. La guerra al terrorismo (quella visibile e quella segreta dei droni), con le sue implicazioni interne (Patriot act e imitazioni varie come la guerra in Cecenia), ha diminuito la sensibilità democratica globale e amplificato la spirale autodistruttrice (favorendo i terroristi e i signori del male che manipolano i propri popoli usandoli come carne da macello).
Secondo Danner c’è stato un vero fallout che ha contagiato tutti: una pioggia radioattiva che ha trasformato dentro sia l’America che l’occidente che il resto del mondo. Siamo divenuti tutti non solo più insicuri ma anche più diffidenti nei confronti di chi è diverso o distante. Accettiamo le manipolazione che viene fatta della storia. Siamo sempre meno capaci di dialogo e spirito di convivenza. Siamo ossessionati dall’idea del declino e sacrifichiamo i nostri valori sull’altare pagano delle nostre paure.
Tutto questo, con diverse gradazioni, ha contaminato l’Europa, il medio oriente, l’Asia, a dimostrazione che la guerra è il reale problema e riguarda tutti. Vittimismo e complottismo sono divenute patologie globali che contagiano tutte le latitudini e in ogni cultura.
Riavvolgendo il nastro degli eventi possiamo dire che non si decide una guerra senza conseguenze. Anche quando finisce, la sua concezione ha intaccato animi e cultura di intere società, rendendo difficile sradicarla, a meno di creare una vera contronarrazione (pacifica e pacificatrice), una speciale grande opera di guarigione delle coscienze mediante il dialogo con tutti senza esclusione.
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