AstraZeneca ritiene che siamo usciti dalla fase di emergenza e non è più tenuta a vendere a prezzo di costo. Big Pharma sta facendo quel che annunciò agli investitori: entra in piena fase di mercato e alza i prezzi. Tutto ciò è possibile perché i governi lo consentono e non impongono lo sblocco dei brevetti
Lo squilibrio globale, con la parte ricca del mondo che è nella fase dei «richiami» e quella povera che non ha neppure la prima dose, ha conseguenze gravi per tutti. Una appare evidente oggi: per Big Pharma a furia di richiami stiamo uscendo dalla fase di emergenza. E quindi, via libera sui prezzi.
Le grandi aziende farmaceutiche stanno facendo quel che avevano annunciato agli investitori, e su cui questo giornale aveva messo in guardia già ad aprile: alzano i prezzi, aumentano i profitti, mentre ancora una parte ingombrante del sud globale viene tenuta senza accesso alle dosi.
AstraZeneca “for profit”
Comincia AstraZeneca. Ha firmato il primo accordo «profittevole» per i vaccini anti Covid. Che significa? Che durante la fase di emergenza pandemica, l’azienda AstraZeneca aveva mantenuto le dosi a prezzo di costo, anche in virtù di un accordo con l’Università di Oxford, e quello AstraZeneca era in effetti il vaccino meno costoso. Adesso l’azienda esce dal regime “no profit” ed entra in quello di mercato. Stando al ceo Pascal Soriot, ci sarebbe stata una consultazione con gli esperti che avrebbe portato a questa conclusione: stiamo passando da fase pandemica a endemica. Il passaggio è chiave.
La nuova fase dei profitti
La fase endemica è – per spiegarla in modo semplice - quella fase in cui Covid si ripete come un’influenza, e anche il vaccino di conseguenza. Il fatto che una azienda ritenga che siamo entrati in fase endemica deve mettere in allerta alla luce delle dichiarazioni di intenti fatte da Big Pharma stessa davanti alle banche di investimenti. A febbraio Frank D’Amelio, vicepresidente esecutivo di Pfizer, presenta i risultati finanziari e le prospettive future davanti agli analisti di Goldman Sachs, Ubs, Morgan Stanley e altri. E dice che se fino a quel momento i prezzi sono stati abbordabili è perché «vengono determinati in un contesto pandemico. Ma guardiamo oltre: otterremo prezzi più alti. Inoltre più aumenterà la scala produttiva, meno ci costerà un’unità. Perciò c’è una opportunità significativa di aumentare i margini di profitto una volta superata la fase attuale». Il mese dopo, a marzo, alla conferenza sulla salute organizzata da Barclays, dice che lo scenario sempre più probabile è quello di una terza dose del vaccino – un «booster» aggiornato rispetto alle varianti – e in futuro un richiamo annuale. «Mano a mano che passiamo da una situazione pandemica a una endemica, la determinazione del prezzo sarà dettata non da condizioni straordinarie di emergenza ma dalle normali forze di mercato».
Le «forze di mercato»
«L’efficacia del vaccino diventerà determinante sia per la domanda di mercato che per la determinazione del prezzo; è una significativa opportunità per il nostro vaccino. Il passaggio da pandemia a endemia è un’opportunità per noi». Discorsi analoghi sul rialzo dei prezzi sono stati fatti agli investitori anche dalle altre aziende, come Moderna («se la situazione evolve in stile epidemia stagionale potremo chiedere un prezzo diverso») e J&J («da qui al 2022 vediamo il vaccino più come opportunità commerciale»). Attenzione, il rialzo dei prezzi è già tangibile: nei nuovi contratti siglati dall’Unione europea con Pfizer, al quale Bruxelles ha garantito una posizione quasi monopolistica, l’azienda ha già ottenuto un rialzo del 25 per cento a dose, nonostante – come spiega D’Amelio stesso agli investitori – col tempo diminuisca il costo di produzione.
Cosa aspettarsi per il futuro? Stando alle previsioni di Pfizer stessa in quegli incontri, i prezzi potranno lievitare fino a 148 euro – e 175 dollari – a dose. Negli Usa, dove il vaccino Pfizer contro lo pneumococco costa già sui 200 dollari, David E. Mitchell di Patients for affordable drugs ha stimato che i costi per il sistema sanitario Usa di una vaccinazione annuale anti Covid sarebbe di 45 miliardi di dollari, se una dose ne costasse 175 dollari; l’aumento della spesa in farmaci sarebbe del 9 per cento. Effetti sulla spesa sanitaria pubblica, oltre che costi da privilegiati.
Disuguaglianze globali
Intanto le disuguaglianze globali di accesso ai vaccini permangono. Nei paesi ad alto reddito quasi sette persone su dieci hanno completato il ciclo vaccinale, in quelli poveri due su cento. Ecco perché da settimane ormai la Organizzazione mondiale della sanità dice che piuttosto che dare richiami indiscriminatamente a tutti nei paesi dei già vaccinati, bisogna vaccinare il sud globale, col rischio altrimenti – per tutti – che si moltiplichino le varianti.
Finora però sia l’Unione europea che Big Pharma non solo vanno avanti con la terza dose – in Israele si parla già della quarta – ma difendono ostinatamente i brevetti e la proprietà intellettuale in mano alle farmaceutiche. Al contempo, come mostrano i dati, le donazioni promesse non procedono affatto.
Nessuno nel sud globale può pensare che si sia usciti dalla fase di emergenza pandemica. In compenso però nei paesi ricchi si è già avanti sui richiami, e questo consente alle aziende una nuova fase di “prezzi di mercato”. In sintesi, più profitti per loro; anche se ricerca e sviluppo sono dovuti anche ai (nostri) soldi pubblici. La svolta sui prezzi è possibile perché i governi, e l’Unione europea in particolare, lo consentono: Bruxelles tiene in ostaggio la deroga sui brevetti chiesta da oltre cento paesi, e sostenuta anche dagli Usa. A fine novembre all’Organizzazione mondiale del commercio si torna a discuterne. Chissà che il costo salato non imponga una riflessione a Bruxelles.
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