I ribelli conquistano altre città siriane e mettono a rischio il regime. Sono già 500 le vittime del nuovo conflitto, oltre 90 sono civili. Intanto l’Idf accusa Hezbollah di aver violato la tregua
La Siria sprofonda ancora una volta negli orrori della guerra civile. I combattenti filo-turchi hanno strappato alle forze curde Tal Rifaat, una città strategica del nord del paese, in combattimenti paralleli alla grande offensiva ribelle nella provincia di Aleppo.
I combattenti «hanno preso il controllo della città di Tal Rifaat» e di diversi villaggi nelle vicinanze, ha affermato l'Osservatorio siriano per i diritti umani, avvertendo che circa 200 mila curdi siriani nella provincia settentrionale di Aleppo sono stati «assediati da fazioni pro-Turchia». E il bilancio dei nuovi combattimenti è già drammatico: 514 morti, inclusi 92 civili.
La situazione ad Aleppo è molto caotica, ma la caduta nelle mani dei ribelli della seconda città siriana rappresenta una disfatta di Assad, Russia ed Iran. Forse la Turchia ne ha approfittato mentre la Russia è impantanata nel fango delle trincee in Ucraina e l’Iran è alle prese con un duro confronto con Israele. Il momento per l’offensiva a sorpresa era giusto.
«Avevamo messo in guardia dal rischio che l'instabilità della regione si sarebbe potuta espandere alla Siria e gli ultimi giorni ci hanno dato purtroppo ragione. Per noi è prioritaria l'integrità territoriale del paese e per questo siamo in contatto con altri paesi. Al confine le nostre truppe hanno preso tutte le misure precauzionali possibili», ha dichiarato il presidente turco Recep Tayyip Erdogan.
Alcuni analisti sostengono la tesi del ripiegamento tattico di Assad ma la situazione sembra molto simile ai collassi delle forze governative afghane prima della resa di Kabul nell’estate 2021.
La differenza è che la Russia rimane tuttora in Siria, mentre gli americani se ne stavano andando. Ma per tenersi Latakia, la più importante città portuale siriana, i russi dovranno mandare rinforzi da Mosca in un momento in cui Putin non ha più truppe né armi da offrire. Eppure il presidente russo non ha intenzione di perdere una pedina strategica e ha espresso, insieme al presidente iraniano Massud Pezeshkian, «sostegno incondizionato alle azioni delle legittime autorità della Siria per ripristinare l’ordine costituzionale e l’integrità territoriale del Paese».
Putin e Pezeshkian hanno inoltre sottolineato «l’importanza di coordinare gli sforzi nel quadro del “formato Astana” con la partecipazione della Turchia». Secondo i due presidenti, «l’aggressione su larga scala di gruppi e bande terroristiche mira a minare la sovranità e la stabilità politica e socioeconomica dello Stato siriano».
Idf: Hezbollah viola la tregua
Intanto le Idf hanno accusato Hezbollah di aver lanciato due «proiettili» verso il nord di Israele, violando per la prima volta la tregua entrata in vigore la scorsa settimana. «Poco tempo fa, Hezbollah ha lanciato due proiettili verso l'area di Har Dov. I proiettili sono caduti in zone disabitate. Non sono stati segnalati feriti», ha affermato l'esercito, utilizzando il termine israeliano per riferirsi alle Fattorie di Sheeba.
Non solo. Gli Stati Uniti hanno avvertito Israele che stanno violando i termini dell'accordo di cessate il fuoco: secondo fonti di Ynet, «ci sono state violazioni israeliane della tregua, principalmente con il ritorno visibile e udibile dei droni dell'Idf nei cieli di Beirut».
Netanyahu ormai non ascolta più la Casa Bianca mentre sua moglie Sara ha incontrato il presidente eletto Usa Donald Trump al Trump International Golf Course a West Palm Beach, in Florida.
«Ho partecipato a una cena al golf club del presidente eletto Donald Trump, alla quale sono stata invitata da lui», ha riferito la first lady israeliana in un post su Instagram in cui ha pubblicato una foto in cui la si vede seduta al tavolo accanto al tycoon.
«Durante l'incontro, che è stato cordiale e amichevole, abbiamo discusso di molti argomenti, fra cui la salda amicizia tra Israele e gli Stati Uniti e l'importanza di continuare a coltivare il legame unico fra i nostri Paesi», si legge nel post su Instagram, che ha una versione in ebraico e una in inglese.
Le accuse di pulizia etnica
Nel frattempo Israele è scosso da un dibattito interno molto acceso, alimentato dalle parole dell’ex ministro della Difesa Moshe Ya'alon.
L’accusa è pesantissima e cade come un macigno nei giorni in cui la tregua in Libano vacilla e Gaza sembra sprofondare in un buco nero senza ritorno e senza visione politica sul suo futuro. Le forze armate israeliane hanno «respinto le gravi accuse di pulizia etnica nella Striscia di Gaza», mosse sabato scorso dall'ex ministro. «L'Idf agisce in conformità con il diritto internazionale ed evacua la popolazione in base alle esigenze operative e temporaneamente, per la sua protezione», ha affermato l'esercito.
In un'intervista, Ya'alon - ex ministro sotto Netanyahu tra il 2013 e il 2016 nonché ex capo di Stato maggiore - ha denunciato come «il percorso» che Israele sta «percorrendo prevede la conquista, l'annessione e la pulizia etnica. Guardate la Striscia di Gaza settentrionale: chiamate la questione come volete, trasferimenti e la creazione di insediamenti ebraici. Questa è la realtà».
«Ora, se guardate i sondaggi, il 70 per cento dell'opinione pubblica, a volte di più, sostiene una certa visione: ebraica, democratica, liberale e così via, insieme alla separazione. Non possiamo perderla di vista. Coloro che ci guidano ora ci stanno trascinando verso niente di meno che la distruzione», ha sottolineato.
E a sottolineare la gravità della crisi umanitaria a Gaza c’è il segretario generale dell'Onu, Antonio Guterres, che ha denunciato che nella Striscia c'è «il numero più alto di bambini amputati pro capite in qualsiasi parte del mondo, molti dei quali hanno perso arti e sono sottoposti a interventi chirurgici senza nemmeno anestesia».
Il capo del Palazzo di Vetro è intervenuto alla conferenza internazionale sugli aiuti umanitari a Gaza in corso al Cairo. L’Onu ha cessato di inviare aiuti perché depredati di gang armate nell’indifferenza dell’esercito israeliano.
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