Ci è voluto meno di una settimana per portare la Siria in uno scenario di guerra civile come non accadeva da anni. I ribelli jihadisti di Hayat Tahrir al-Sham dimostrano di avere le capacità belliche per avanzare nel terreno dopo che ieri hanno conquistato altre quattro città: Halfaya, Taybat al-Imam, Maardis e Soran.

L’esercito siriano, invece, mostra tutte le sue debolezze nonostante il sostegno militare attivo della Russia. «Non ci fermiamo finché non abbiamo raggiunto i nostri obiettivi», hanno detto ieri i ribelli. L’avanzata nella provincia di Hama prosegue, con l’esercito siriano che ha mandato ulteriori rinforzi nelle prime linee e sta iniziando la controffensiva nel nord-ovest verso la provincia di Idlib e Aleppo, cadute nei giorni scorsi.

La Turchia

Gli attori internazionali che negli anni più intensi della guerra fratricida hanno avuto un ruolo attivo in Siria si sono esposti tutti. E nonostante un Medio Oriente che ha cambiato forma e relazioni geopolitiche nell’ultimo anno, in Siria le logiche di potere e influenza sono sempre le stesse. Da una parte ci sono Russia, Iran e Hezbollah che sostengono il presidente Bashar al Assad.

Kataib Hezbollah, la milizia irachena affiliata a quella libanese ha esortato il governo di Baghdad a inviare militari per fermare l’avanzata dei ribelli. Il ministro degli Esteri iraniano ha paventato la possibilità di inviare truppe di Teheran nel territorio. Dall’altra parte, invece, c’è la Turchia di Recep Tayyip Erdogan, accusata di sostenere una frangia dei ribelli jihadisti protagonisti dell’avanzata iniziata lo scorso 27 novembre.

Il presidente turco ha parlato ieri dopo giorni in cui si era esposto solo il suo ministro degli Esteri Hakan Fidan. Il governo siriano di Assad deve impegnarsi in un «genuino processo politico per impedire che la situazione peggiori», ha detto. Il suo obiettivo è chiudere i conti con le forze curde che guidano le Forze democratiche siriane (sostenute dagli Stati Uniti) nel nord est del paese. Ieri in un bombardamento i caccia di Ankara hanno ucciso sette miliziani dello Ypg.

La sua interferenza non è però ben accetta. «L’Iraq non rimarrà a guardare di fronte ai fatti gravi in corso in Siria, in particolare gli atti di pulizia etnica contro varie componenti e sette», ha detto il premier iracheno, Mohammed Shia al-Sudani, in un colloquio telefonico con Erdogan.

«L’Iraq ha già sofferto a causa del terrorismo e delle conseguenze delle conquiste da parte di gruppi estremisti di aree in Siria, e non permetterà che tale scenario si ripeta», ha aggiunto. Dalle parole ai fatti: il governo iracheno ha inviato rinforzi militari nell'area di Sinjar, nel nord-ovest del paese, dove c’è la minoranza yazida che ha già sofferto in passato la brutalità dei miliziani dell’Isis.

A dialogare tra le molteplici parti in gioco c’è, ancora una volta, il presidente russo Vladimir Putin. In un altro colloquio telefonico ha chiesto a Erdogan di «fermare rapidamente l’aggressione terroristica contro lo stato siriano da parte di gruppi radicali».

Il ruolo di Israele

Lo stato ebraico che nei giorni scorsi è stato a guardare ha intensificato i colpi contro Hezbollah. Ieri l’esercito israeliano ha annunciato di aver ucciso in un raid aereo avvenuto vicino l’aeroporto di Damasco il rappresentante di Hezbollah presso l’esercito siriano Salman Nemer Jamaa. Altri attacchi contro la milizia – accusata dal premier Benjamin Netanyahu di aver violato il cessate il fuoco – sono stati compiuti nel sud del Libano e nella valle della Bekaa.

Secondo il ministero della Sanità di Beirut sono state uccise almeno sei persone. L’aumento delle tensioni dopo giorni di pace mette già in bilico la tregua firmata una settimana fa. Anche per questo motivo, l’esercito regolare libanese, che dovrebbe avere il controllo futuro nella parte meridionale del paese, ha lanciato un nuovo reclutamento.

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