Complici i massacri a Gaza ormai vecchi di ben oltre un anno, la guerra in Ucraina prossima al triennio, tendiamo a dimenticarci di guerre nel mondo che vanno avanti nel più totale disinteresse o che si rinfocolano lì dove pensavamo fossero sopite.

La Siria rientra appieno in quest’ultima casistica. La situazione, mai del tutto risolta, andava complicandosi nuovamente negli ultimi mesi anche a causa di una serie di fattori determinanti come la scomparsa sostanziale dalla scena mediorientale di Hezbollah, un grande alleato del presidente siriano Bashar al-Assad che, dalla morte del suo leader indiscusso Hassan Nasrallah lo scorso 28 settembre, attende ancora di riorganizzarsi.

Nel frattempo, l’onnipresente Russia e le milizie Wagner, così come dall’Africa, hanno cominciato a ritirare truppe dalla Siria per dispiegarle sul fronte ucraino.

L’avanzata islamista

Ai gruppi di opposizione al regime di Assad, probabilmente questa congiunzione astrale è sembrata particolarmente favorevole per dare vita a una offensiva che puntava prima ad Aleppo e poi ad altri centri. Alla fine di quasi una settimana di avanzata indisturbata i combattenti del gruppo armato Hayat Tahrir al-Sham (Hts) sono penetrati nella città di Aleppo costringendo l'esercito siriano a ritirarsi dalla città settentrionale dopo otto anni.

Russia e Iran, sorpresi non tanto dall’avanzata quanto dalla rapidità, hanno voluto far capire di esserci e fin dai primissimi giorni di dicembre si sono impegnati a sostenere incondizionatamente il governo di Damasco, inviando aerei da guerra ed esprimendo il loro sostegno diplomatico.

Stando alle notizie che giungono dai media statali siriani, confermate anche dall'Osservatorio siriano per i diritti umani (un think tank siriano con sede in Inghilterra), lunedì 2 dicembre caccia russi e siriani hanno colpito obiettivi in tutto il territorio conquistato dai ribelli nel nord-ovest della Siria e ucciso sia civili che combattenti. Ma i gruppi anti-regime, tutti di matrice islamica, riuniti sotto l’egida dell’Hts, sembrano non trovare grossi ostacoli e continuano ad avanzare puntando alla provincia di Hama, nella Siria occidentale.

Un conflitto lungo 13 anni

La popolazione, rivede i terribili fantasmi dell’orrore della guerra aperta. «In città – spiega contattato da Domani al telefono Davide Chiarot, operatore di Caritas Italiana ad Aleppo – la situazione è molto tesa c’è molta preoccupazione per possibili sviluppi, qui la gente ha paura che da regionale il conflitto si trasformi in nazionale e che si ritorni nel baratro della guerra totale».

Chiarot, da due anni in Siria, ricorda come il dramma siriano iniziato 13 anni fa non è mai realmente finito. «La situazione è sempre rimasta tesa dal 2011 a oggi, una condizione di conflitto latente, non sorprende tantissimo quello che è successo, piuttosto l’incredibile velocità con cui è avvenuto. Sentiamo le esplosioni per i raid aerei e in questo momento qui al centro di Aleppo si vedono tanti negozi chiusi.

Chi ha potuto ha lasciato la città nei giorni scorsi, ora invece è praticamente impossibile uscire. Da ieri (il 1 dicembre, ndr) l'Ambasciata italiana ha comunicato che c'era la possibilità di provare a congiungersi a un convoglio delle Nazioni Unite per provare ad uscire in direzione di Damasco, ma in tutta la giornata non è stato possibile».

Nel frattempo giungono notizie di un ingresso, attraverso l'Iraq, di truppe armate sostenute dall'Iran in appoggio alle forze di Bashar al-Assad. Il numero dei morti ha superato i 400, mentre le forze curde non possono far altro che sostenere la popolazione in fuga da Aleppo. Le flebili speranze giungono da un’embrionale attività diplomatica.

La Russia attraverso il suo portavoce, Dmitry Peskov, non esclude la possibilità di un trilaterale con esponenti di Teheran e Ankara, attori fondamentali nell’area. Sul fronte occidentale, Stati Uniti, Inghilterra e Germania hanno rilasciato una dichiarazione congiunta con cui richiedono di passare immediatamente a una fase di "de-escalation".

Gli attacchi aerei condotti dal governo siriano hanno colpito Aleppo e la città di Idlib, a una sessantina di km in linea d’aria verso sud-ovest, divenuta nel frattempo un rifugio per le persone scappate nei giorni scorsi.

I Caschi Bianchi, un'organizzazione locale di soccorso indipendente, hanno mostrato le immagini dell'attacco e i danni all'ospedale universitario della cittadina vicina al confine con la Turchia. «Nell'attacco all'ospedale universitario – riprende Chiarot - sono morte almeno 20 persone e diversi sono rimasti feriti. Poi è stato colpito anche il centro dei Francescani ma è difficile avere notizie certe.

Tutto ciò è fonte di terrore per la popolazione che convive con le tensioni e sa che facilmente possono sfociare in guerra. In questo momento in alcune zone non c’è elettricità, si teme per l’accesso alle cure mediche mentre in alcuni quartieri non è fornita l'acqua. Ma la preoccupazione principale, ovviamente, è per la sicurezza».

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