Il 7 ottobre resterà una data segnata dall’orrore per la morte atroce di vittime innocenti tra i quali neonati. In Israele diverrà un giorno di memoria perpetua, una specie di nuova Shoah. Da parte palestinese e di molti arabi sarà invece ricordato come il momento dell’atroce rivalsa, dopo tanta sofferenza e umiliazione. Il 7 ottobre è destinato a dividere ancora di più i due popoli. Con quel pogrom assassino Hamas è riuscita a approfondire il solco forse in maniera definitiva. Israele non ha saputo resistere alla logica della vendetta, distruggendo tutto a Gaza, non solo scuole, case, ospedali e moschee ma anche strade e campi. L’idea è di mettere fine alla possibilità della vita stessa.

Da entrambe le parti questa è una guerra di annientamento, una vendetta all’infinito, senza misericordia, in un ciclo infernale di odio e di sangue. Questo è il segno del 7 ottobre. Come un demone uscito dal suo inferno, Hamas ha perso tutto ma è riuscita a ghermire Israele trascinandolo nel suo baratro di ferocia.

Tsahal, l’esercito cittadino di civili-soldati, a Gaza si sta trasformando in un branco di distruttori della vita civile, o di torturatori come testimoniano gli stessi soldati israeliani e come narra la stampa di quel paese.

Uno strumento politico 

Quale onore vi può essere in questa guerra all’ultimo sangue che non risparmia nemmeno i piccoli? Il 7 ottobre è la data di un orribile pogrom antisemita ma è anche l’inizio di una discesa agli inferi. Malgrado tutte le guerre e la violenza di questi decenni, i tanti massacri compiuti, il terrorismo e le reazioni spesso sproporzionate, israeliani e palestinesi dovrebbero avere un destino diverso.

Oggi invece si sono reciprocamente condannati a vivere a turno nella paura o nell’amara (e passeggera) soddisfazione di aver inferto un colpo all’avversario. Non c’è futuro in questo perché non c’è né salvaguardia né tranquillità. Tutto quello che è accaduto dal 7 ottobre in poi non darà più sicurezza ad Israele e nemmeno uno stato ai palestinesi.

Come scrive Massimo Cacciari, ci vorrebbe il perdono inteso come strumento politico per garantire un futuro: «È una gara a chi meglio dimentica la virtù senza la quale mai potrebbe darsi una pace in terra. Il torto chiama vendetta e basta, e se smisurato il torto, smisuratissima sia la vendetta. Il perdono non è possibilità prevista. Credete si tratti solo di virtù teologica? La disponibilità al perdono è virtù quintessenzialmente politica».

È l’unica strada rimasta per curare le ferite, non lasciarle sanguinare per sempre e papa Francesco vuole sottolinearlo chiamando a una giornata di digiuno e preghiera. I due stati sono – per ora – percepiti come un incubo: gli israeliani avrebbero il terrore di continui attacchi e viceversa. Nessuno si mette al posto dell’altro per capire cosa sente. Secondo alcuni ci si deve ora preparare ad una fase di terrorismo suicida, l’ultima risorsa dei perdenti.

Il rischio della barbarie

La guerra in Libano per un po’ farà distogliere lo sguardo dal destino di Gaza e della Cisgiordania. Poi si tornerà a guardare in faccia una realtà sempre più triste, tra distruzione totale della Striscia e continui attacchi dei coloni ai villaggi palestinesi della West Bank. Il messaggio del 7 ottobre sembra essere questo: guerra infinita tra Israele e i palestinesi dove ogni urto violento non farà che prolungare la resilienza dell’altro.

La decisione israeliana di ammettere la reazione “sproporzionata” all’attacco di Hamas, inocula nel popolo israeliano un principio schizofrenico che può dividerlo. Tanto eccesso di autodifesa può diventare un boomerang che produrrà crepe dentro il paese, mettendo a repentaglio la qualità della democrazia israeliana.

L’esistenza di coloni armati comporterà il pericolo di milizie “private” all’interno dello stato. Una sproporzione che non tenga conto delle vittime civili collaterali (spesso accusandole di complicità) svaluta la Shoah e banalizza l’antisemitismo. C’è il rischio concreto che si finisca per dire che «la Shoah appartiene al vecchio secolo mentre oggi il genocidio è un altro…».

Follia reagire a tutte le critiche all’Onu accusandolo di «livore antisemita» per uno stato come Israele nato precisamente per volere delle Nazioni unite. Tutta questa violenza verbale e armata svuota di senso ogni responsabilità rendendo simili i contendenti.

Pietà l’è morta: una vittoria (anche se postuma) per Hamas cioè essere riuscita a sfigurare l’anima di Israele affinché gli assomigli in ferocia. Tale logica dei sacrifici umani, in nome di una qualsivoglia sicurezza, sopravvivenza o creazione dello stato, porta tutti diritti alla barbarie. 

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