Molto probabilmente Benedetto XVI, dopo la rinuncia al pontificato, non ha letto il romanzo di Richard Harris intitolato Conclave, uscito nel 2016 (e ora riedito da Mondadori). È un thriller avvincente immaginato in un Vaticano molto credibile, grazie alle conversazioni dell’autore con il cardinale Cormac Murphy-O’Connor, il primate cattolico inglese che aveva partecipato all’elezione di Joseph Ratzinger nel 2005.

Ma altrettanto probabilmente il vecchio papa si sarebbe divertito. E non si sarebbe scandalizzato, né oggi approverebbe i commenti di sapore apologetico di chi tra i critici cattolici ha riconosciuto la qualità del film di Edward Berger tratto dal libro, ma lamentando il taglio realistico nel descrivere gli aspetti umani – di frequente molto umani, per usare un eufemismo – dei conclavi. Le cui vicende Ratzinger, appassionato di storia, conosceva molto bene.

Delle elezioni papali il cardinale aveva infatti parlato nell’aprile del 1997, durante una lunga e godibilissima conversazione televisiva trasmessa dal Bayerischer Rundfunk alla vigilia dei suoi settant’anni. Significativa la scelta dell’interlocutore: un importante regista teatrale e operistico, August Everding, uomo di cultura intelligente e laico.

Tra le molte domande Everding aveva chiesto a Ratzinger se credesse «veramente» al ruolo dello Spirito santo nell’elezione di un papa. «Non direi che sia lo Spirito santo di volta in volta a sceglierlo perché ci sono troppi esempi di papi che con tutta evidenza lo Spirito santo non avrebbe scelto» rispondeva senza giri di parole il cardinale.

«Ma direi che lo Spirito santo non perde del tutto il controllo della faccenda e come un buon educatore, per così dire, ci dà molto spago, ci lascia molto spazio, molta libertà, senza però mollare del tutto. Il ruolo dello Spirito santo dovrebbe essere inteso in un senso molto più ampio, non che a un certo punto indichi il candidato per il quale si debba votare. Di certo, però, consente solo quanto non può totalmente rovinare la faccenda» aggiungeva con disincantato realismo (e fiducia nella provvidenza) Ratzinger, che aveva votato nei due conclavi del 1978 e sarebbe stato eletto in quello del 2005 dopo l’interminabile pontificato di Giovanni Paolo II.

La conversazione con il colto uomo di spettacolo è la più lunga delle interviste di Ratzinger, in parte inedite, ora scelte e raccolte in uno dei volumi dell’opera omnia curata dal cardinale Gerhard Müller, pubblicata in italiano dalla Libreria editrice vaticana.

La raccolta

L’impresa, ormai quasi alla fine, comprende oltre quattordicimila pagine e raccoglie – nel secondo anniversario della morte di Benedetto XVI, spentosi il 31 dicembre 2022 – il frutto di un’attività intellettuale molto operosa: prima del pontificato, oltre millecinquecento titoli tra libri, articoli, recensioni, interviste, nel 2009 indicizzati in un libro (Das Werk, a cura di Vinzenz Pfnür) che supera le quattrocento pagine.

Nelle conversazioni ricorrono temi teologici, naturalmente, ma trattati con un’attenzione alla contemporaneità e una chiarezza non comuni. «La realtà di oggi – il «vento fresco della vita di oggi» dice una volta – è talmente forte che per forza ci si confronta con essa» spiega il cardinale a Everding. E riconosce con una punta di autoironia: «Grazie a Dio, quando sono costretto al dialogo, sono comunque capace di uscire dalla torre di avorio dello specialista».

Accanto alle qualità personali di analisi e di sintesi, riconosciute anche dagli avversari, è l’insegnamento universitario ad allenare Ratzinger a questo «dialogo». Docente a Tubinga, nel 1967 il teologo quarantenne tiene una serie di affollatissime lezioni sul Simbolo apostolico, il più antico credo cristiano, e il libro che ne ricava nel 1968, l’Introduzione al cristianesimo – edita in Italia dalla Queriniana, e ora abbreviata da Manfred Lütz – si rivela in quell’anno di rivolgimenti un best seller: in pochi mesi cinquantamila copie, alle quali si aggiungeranno le traduzioni in 24 lingue.

Non a caso le interviste ora raccolte iniziano l’anno dopo, quando il professore tedesco comincia a diventare famoso come il brillante collega svizzero Hans Küng, il coetaneo, amico e concorrente al quale viene di frequente contrapposto.

Le interviste s’infittiscono dopo la chiamata a Roma di Ratzinger, dal 1977 arcivescovo di Monaco e Frisinga per decisione di Paolo VI che lo crea cardinale lo stesso anno: alla fine del 1981 è Giovanni Paolo II a volerlo a capo della Congregazione per la dottrina della fede, l’antico Sant’Uffizio, e il nuovo prefetto viene quasi subito soprannominato Panzerkardinal o descritto come il «grande inquisitore».

Ad accrescerne la fama contribuiranno ben cinque libri intervista. Nel 1985 suscita scalpore il franco Rapporto sulla fede, scritto da Vittorio Messori, e altri quattro – frutto di conversazioni con Peter Seewald, autore nel 2020 della grande biografia di Benedetto XVI (tradotta magnificamente da Garzanti) – hanno una grande diffusione, grazie anche a decine di traduzioni: Sale della terra (1996), Dio e il mondo (2000), durante il pontificato Luce del mondo (2010) e, dopo la rinuncia, Ultime conversazioni (2016).

L’intellettuale “irrazionale”

Alle capacità di sintesi e chiarezza di Ratzinger contribuisce, insieme alla docenza universitaria, l’esperienza al concilio Vaticano II come consigliere teologico del cardinale Josef Frings, l’arcivescovo di Colonia punta di lancia della maggioranza riformatrice. Con lui e il suo segretario Hubert Luthe, «con il quale avevo studiato», racconta nel 1992, «abbiamo analizzato insieme tutti i testi, glieli abbiamo letti – Frings era quasi cieco – e, nel farlo, ne discutevamo esponendo le nostre riflessioni. Dopodiché, sulla base di queste conversazioni, elaboravo una proposta di discorso».

Nonostante lo studio e l’impegno accademico, il cristiano Ratzinger non è un intellettuale disincarnato e la sua fede non ha nulla di cerebrale. Ricorda il teatrino di marionette con cui giocava da bambino in una soffitta «piena di segreti». Interrogato su Mozart, risponde: «Semplicemente lo amo, e direi che è un amore che, come ogni grande amore, non ha un vero “perché”, che non è necessario motivare razionalmente». E aggiunge: «Quella musica è semplicemente bella, com’è bella la creazione».

Lo sguardo di Ratzinger tiene sempre conto della realtà e della storia. «In questo tempo agitato non si può certo ricadere nella prassi dell’antimodernismo» afferma – lui che aveva rischiato di non ottenere il dottorato proprio per il sospetto di tendenze moderniste – nel pieno della bufera successiva al concilio: che non rinnega mai e dove aveva svolto, tra le quinte, un ruolo pionieristico. «L’identità non è statica, ogni generazione deve riconquistarla, e questo vale soprattutto per i tempi di crisi» ribadisce vent’anni dopo, ormai cardinale; altre volte ricorda la frase dell’antico scrittore latino Tertulliano: «Cristo non ha detto “io sono la tradizione”, ma “io sono la verità”».

Nelle interviste sono avvincenti i grandi temi morali che s’incrociano con l’attualità e la politica internazionale, di cui Ratzinger si interessa sino agli ultimi giorni, nel più rigoroso rispetto degli ambiti diversi e dei confini tra religione e politica. Come in un’ampia conversazione del 1983 sullo Spiegel dove affronta i temi della guerra e della corsa agli armamenti. «Anche se l’avversario probabilmente è malvagio, ha comunque degli interessi legittimi» risponde, osservando che «nella classica politica russa si nota una certa paura».

Realistiche e nette sono le conseguenze morali. «Non appena è raggiunta la deterrenza, che al contempo costringe anche a intavolare trattative, non è più lecito proseguire nella corsa agli armamenti» afferma il cardinale, ma soprattutto «l’utilizzo di armi nucleari che distruggono vasti territori è amorale» aggiunge. E un ventennio più tardi non esita a dichiarare che «non esistevano motivi sufficienti per scatenare una guerra contro l’Iraq».

Ratzinger è convinto, con alcuni antichi autori cristiani, che «la luce di Cristo risplende in tutto il mondo». Con una logica importante conseguenza: «Tutt’attorno non ci sono solo errori ma anche “giochi di luce”, per così dire, scaglie di luce che rimandano alla stessa cosa».

La raccolta delle interviste con il futuro Benedetto XVI merita di essere conosciuta e diffusa. Ma in una forma meno istituzionale e a un prezzo accessibile: scegliendo quelle di maggiore interesse in coedizione con un importante editore fuori dagli angusti confini cattolici.

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